domenica 4 dicembre 2016

Bioregionalismo applicato all'economia - Quanto vale la Natura?

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Quanto vale una specie animale? Una montagna? O un lago?
La conservazione della natura è una responsabilità alla quale, oggi più che mai, non possiamo sottrarci, ma questo ormai lo sanno tutti. La crescita inesorabile della popolazione, la necessità sempre maggiore di risorse ci chiedono uno sforzo di lungimiranza e attenzione che mai era stato necessario nella storia.
Alla base di molte riflessioni di studiosi ed esperti, c’è una domanda: perché dobbiamo conservare la natura? E anche una seconda: qual è l’approccio migliore per pianificare la conservazione?
In questo campo esiste una storica (e forse fuorviante) sfida fra due correnti di pensiero, due approcci con radici filosofiche ma con effetti decisamente reali: antropocentrismo e biocentrismo (bioregionalismo applicato).
In parole molto povere, dobbiamo conservare la natura in funzione dell’utilità che essa ha per l’uomo oppure dobbiamo conservarla per il suo valore intrinseco?
In un interessante opinion paper pubblicato sul Journal for Nature conservation, sono state affrontate e confrontate queste due visioni, apparentemente opposte, del nostro rapporto con la natura.
Si sente spesso parlare di “Sevizi Ecosistemici”, cioè dei benefici che gli ecosistemi forniscono al genere umano, la quantificazione economica del valore della natura.
Questo sembra essere uno strumento immediato e molto pratico per la conservazione, ma per contro ci restituisce una visione estremamente semplificata e incompleta della complessità degli ecosistemi. La classe politica, essendo generalmente sprovvista delle competenze in materia ambientale, ha bisogno di strumenti semplici e soprattutto persuasivi nei confronti dei cittadini e in quest’ottica l’individuazione dei servizi ecosistemici è manna dal cielo.
Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo pensare al Millennium Ecosystem Assessment, un progettone internazionale per valutare gli ecosistemi terminato nel 2005, che ha consacrato ufficialmente l’approccio antropocentrico facendolo diventare un modo di fare d’avanguardia.
La natura, però, è molto più complessa di come la vorremmo, ragionando e operando solo in funzione del benessere dell’uomo rischiamo quindi di trascurare moltissime informazioni e perdere interazioni fondamentali.
Ad esempio, per molto tempo si è proposto di calcolare il valore degli uccelli in funzione della loro utilità come “pesticidi” in agricoltura, cosa apparentemente molto utile, ma quando poi sono arrivati i pesticidi veri (quelli chimici) che offrivano risultati migliori a costi più bassi ecco che la potenziale attenzione verso gli uccelli è presto svanita. Si capisce, quindi, che per quanto sia alta la nostra capacità di valutare i possibili effetti diretti e indiretti del valore di un bene naturale, sembra davvero impossibile prevederli proprio tutti.
Una cosa molto interessante che sottolineano gli autori del paper di cui sopra, è che i due approcci non sono da considerare come lati opposti della stessa medaglia. Una conservazione biocentrica alla fine avrà effetti positivi anche su benessere umano. Non dobbiamo commettere l’errore di considerarci qualcosa di diverso da quello che siamo: anche se particolarmente creativi e ambiziosi, siamo comunque una specie animale.


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