lunedì 5 febbraio 2018

Salviamo il Pianeta. Basta sprechi!


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Torniamo a parlare di spreco alimentare. Gli studi sul tema affermano che non esiste una definizione univoca di spreco alimentare, spesso la “perdita” di cibo  e lo “spreco” di cibo, nell’accezione comune, sono usati indistintamente. Le perdite e gli sprechi di cibo avvengono a diversi livelli della catena di approvvigionamento alimentare sia nella fase produttiva che in quella distributiva e di consumo.

Di recente anche ISPRA si è occupata di spreco alimentare nel suo report "Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali", perché è evidente, come ha affermato la stessa FAO nel suo report "Food Wastage Footprint Impacts on natural resources", il cibo che gettiamo e quello che perdiamo nella filiera produttiva impatta sul clima e sull’ambiente, producendo inquinamento atmosferico, delle risorse idriche e del suolo, spesso anche a causa dei fitofarmaci impiegati in agricoltura, ma anche un'inutile perdita d’acqua, energia, di suolo e di biodiversità.

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Anche il WWF, nel 2013, nel suo rapporto "Quanta natura sprechiamo ", si è occupata del tema delle pressioni ambientali legate dallo spreco di cibo nel nostro Paese. Nel report si fornisce un primo dato nazionale delle dimensioni ambientali degli sprechi alimentari, esprimendo la pressione che la frazione di cibo sprecato ha in ogni caso generato sull’ambiente per mezzo di tre indicatori:
  • la quantità di gas serra (GHG) emessa lungo la filiera fino a distribuzione
  • la quantità di acqua consumata (acqua blu) nei processi di coltivazione/allevamento e nella fase industriale
  • la quantità di azoto reattivo (Nr) immessa in ambiente nella fase di coltivazione/allevamento.
Lo spreco di cibo in Italia (tra responsabilità dei consumatori e della filiera di produzione), in base alle conclusioni riportate dal WWF, determina uno “spreco”di:
  • 1226 milioni di m3 l’anno di acqua, pari al 2,5% dell’intera portata annua del fiume Po 
  • 24,5 milioni di tonnellate CO2 l’anno, di cui 14,3 riferibili ai soli sprechi in casa. L’assorbimento della sola CO2 sprecata da noi consumatori richiede un quarto della superficie boschiva italiana
  • 36% circa dell’azoto aggiunto con i fertilizzanti che contribuisce al  peggioramento delle qualità delle acque determinando impatti anche sulla flora e fauna degli ecosistemi idrici.
Secondo la FAO (2011 - Global Food Losses and Food Waste), ogni anno, nel mondo, vengono sprecati circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo di cui l’80% ancora consumabile. Di questo miliardo, 222 milioni sono le tonnellate di cibo che vengono sprecate nei Paesi industrializzati: una cifra che, da sola, sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Sub-sahariana.
In Europa si sprecano, in media, circa 180 kg di cibo pro-capite all’anno, il dato più alto è quello dell’Olanda con 579 Kg pro-capite l’anno, mentre il Paese più virtuoso risulta la Grecia con i suoi 44Kg pro-capite l’anno.

In Italia, lo spreco alimentare è piuttosto elevato e secondo l’Osservatorio sugli sprechi tra gli alimenti che, a livello domestico, finiscono nella pattumiera troviamo: i prodotti ortofrutticoli (17%), pesce (15%), pasta e pane (28%), uova (29%), carne (30%) e latticini (32%). Secondo il Barilla Center for Food and Nutrition, ogni anno finiscono nella spazzatura dai 10 ai 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari per un valore di circa 37 miliardi di euro. Secondo la Coldiretti la totalità del cibo che finisce nella pattumiera servirebbe a sfamare 44 milioni di persone.

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I cittadini però si mostrano sensibili rispetto a questo problema, infatti, il sondaggio Swg per Last Minute Market ci dice che 8 su 10 italiani dicono no allo spreco alimentare. Il 78% degli intervistati chiede l’assunzione di responsabilità di ogni cittadino nel suo piccolo per evitare gli sprechi alimentari. Il 67% del campione immagina leggi che prevedono sgravi fiscali per chi adotta soluzioni antispreco donando le eccedenze, il 62% degli intervistati ritiene che nelle scuole si dovrebbe insegnare la “neo-economia domestica” con corsi obbligatori che spiegano come sfruttare bene in cucina tutti gli alimenti. 

Tra le principali cause dello spreco a livello domestico troviamo:
  • le cattive abitudini di spesa di milioni di persone
  • l’inosservanza delle indicazioni poste in etichetta sulla corretta modalità di conservazione degli alimenti
  • le date di scadenza troppo rigide
  • la tendenza a servire porzioni di cibo troppo abbondanti
  • le promozioni che spingono i consumatori a comprare più cibo del necessario.
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Numerose sono le campagne di recupero e riciclo del cibo da parte di ONG e di organizzazioni spontanee di cittadini ma, in questa realtà, combattere lo spreco alla radice è possibile solo restituendo valore al cibo, anche compiendo piccole azioni quotidiane come:
  • fare la lista della spesa e comprare solo quanto necessario
  • comprare se possibile da produttori locali
  • scegliere prodotti di stagione
  • usare meno prodotti trasformati
  • imparare l’arte della cucina di recupero, utilizzando avanzi e scarti
  • non servire porzioni eccessive
  • monitorare con un diario i propri acquisti ed i relativi sprechi alimentari
(Fonte: Arpat)

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