mercoledì 6 dicembre 2017

Bioregionalismo, ecologia profonda e consapevolezza ecologica

Il Bioregionalismo è l'arte di vivere in un luogo in armonia con la natura. Il Bioregionalismo è l'arte di non causare dolore non necessario agli animali. Il Bioregionalismo è l'arte di liberarci dal patriarcato, dal Dio patriarcale e ritornare alla Madre Terra, all’uguaglianza e alla libertà.
Le mie tre idee sul Bioregionalismo


Alcune riflessioni…

Quando nel 1996 a Monterufeno (Vt), dopo circa tre anni di frequentazioni e amicizie varie, fu fondata la Rete Bioregionale Italiana, nonostante le giuste proteste di Paolo D’Arpini (già allora Presidente del famoso Circolo Vegetariano di Calcata), si decise di comune accordo di non affrontare, o lasciare da parte, alcune tematiche fondamentali, la caccia, l’allevamento, l’alimentazione che poi negli anni seguenti vennero talmente alla ribalta che la loro discussione (o rifiuto di discutere) portò persino alla scissione del gruppo.
Personalmente all’epoca accettai lo stato delle cose anche perché ancora ogni tanto mangiavo la carne (anche se alternavo con periodi di vegetarianesimo). Già allora però rifiutavo l’idea (che girava nelle Rete) degli ecologisti americani che da sempre dicevano che la caccia era utile per la formazione ecologica delle persone e che alcuni di noi allevavano animali o in gabbie o in greggi addirittura per poi vendere agnelli pasquali destinati al massacro…!
Ma così va il mondo (il nostro, quello sbagliato) e nonostante il mio senso critico e di disagio, da ancora carnivoro  non me la sentivo di mettere in discussione questo modo di agire, ora penso poco ecologista o per niente…
Quindi all’epoca quando un giorno una persona curiosa mi chiese di definire in poche parole il Bioregionalismo(1) mi venne in mente una sintesi che poi ancora è molto valida:
Il Bioregionalismo è l'arte di vivere in un luogo in armonia con la natura
Una sintesi corretta ma che col tempo ho capito lascia spazio ad applicazioni di vita e pratiche molto differenti, spesso discutibili. Diciamo che può andare bene per tutti e per questo allora può anche non andare più bene! La sintesi è giustissima se la vediamo dal punto di vista dell’ecologia profonda, se tutto è connesso e viviamo con consapevolezza ecologica. Ma se non siamo ecologisti profondi (molti dicono di esserlo senza averci però capito molto…), allora l’armonia non è per tutti, tanto meno per gli animali che quindi ancora vengono tenuti prigionieri, sfruttati (per esempio rubando loro il latte) e infine uccisi (per finire da cadaveri in pezzi nei frigoriferi di casa), o, cucinati, sulla tavola…
Ecco quindi arrivare nel tempo la necessità di chiarire meglio il senso di quella pur bella frase (e la possibilità di farlo finalmente in modo coerente dato che da più di dieci anni ormai sono diventato prima vegetariano e poi vegano…), e quindi ecco la seconda frase:
Il Bioregionalismo è l'arte di non causare dolore non necessario agli animali
Per un vero ecologista (bioregionalista, ecologista profondo, diciamo anche una persona “normale” senza bisogno di essere impegnati attivisti o dei geni…), questa frase non dovrebbe avere bisogno di ulteriori spiegazioni…! Ormai dal punto di vista etico, scientifico, culturale, ambientale, salutistico, economico (serve altro?) è ben chiaro che gli animali andrebbero lasciati in pace. Come tutti (o come pretendiamo noi umani giustamente), dovrebbero avere diritto alla loro vita, al loro habitat e a svolgere il loro ruolo ecologico durante tutta la loro esistenza.
Sembra ormai chiaro che nella nostra società occidentale opulenta per alimentarci correttamente non c'è bisogno di sfruttare e/o uccidere gli animali. Chiaramente una tribù di indios dell'Amazzonia se se ha bisogno di sopravvivere nel suo ecosistema può farlo ma per assurdo si sa che un cambiamento può sempre avvenire e quindi se ci fosse un confronto con questa tribù e si scoprisse che seguono persino un indirizzo patriarcale si potrebbe sperare che dialogando nel tempo si convincano ad evolversi in maniera più pacifica (nei confronti degli animali e delle donne in particolare…).
La frase: non causare dolore non necessario la lessi anni fa in un interessante articolo scritto dal poeta americano Gary Snyder (grande amico della Rete Bioregionale Italiana), per lui era un fondamentale principio buddista, a me piacque molto e la estesi subito agli animali, senza immaginare che sarebbe stata (nella Rete e non solo là) fonte di discussioni infinite, ma così va il mondo…
Ora veniamo ora alla terza e ultima frase:
Il Bioregionalismo è l'arte di liberarci dal patriarcato, dal Dio patriarcale  e ritornare alla Madre Terra, all’uguaglianza e alla libertà
Intendo dire che l'avvento del patriarcato (circa 6000 anni fa in Europa) ha generato prima una società violenta e diseguale in particolare contro la natura e le donne, e poi la visione di un Dio maschile che ha autorizzato tutto ciò dall'alto, sostituendo in modo altamente cruento l'antica società pacifica, egualitaria e matristica della Madre Terra, infine è arrivato il capitalismo e le multinazionali… Così va il mondo, per ora…
Questa è la storia degli ultimi 40.000 anni, dalle donne e uomini del Cro-magnon del Paleolitico superiore (quelli delle splendide pitture rupestri e delle Dee madri, le cosiddette Veneri paleolitiche), passando per il neolitico con la Civiltà della Dea (come è stata ben studiata e definita dalla mitoarcheologa lituana Marija Gimbutas) e per finire con le grandi storiche civiltà di stampo occidentale e patriarcale. Queste grandi e potenti civiltà hanno cercato in tutti i modi, dalla violenza alla scrittura della Bibbia, fino ai moderni mass media, di farci dimenticare (specialmente alle donne) il nostro passato più egualitario ed ecologicamente profondo. Però, come ha saggiamente osservato sempre il poeta Gary Snyder, c’è sempre stato nei millenni, nei secoli, un Grande Flusso di consapevolezza sociale e/o ecologica (si pensi a tanti grandi movimenti come quelli dei Catari, delle femministe e poi ecofemministe, della Beat Generation, degli hippies, degli ecopacifisti…) che il patriarcato non è mai riuscito ad annullare o riassorbire del tutto e che ci dà un grande senso di speranza per il futuro(2).
Ecco quindi il senso profondo della terza frase: solo liberandoci del patriarcato, del suo Dio-padrone, delle multinazionali, dei generali e dalle loro amate guerre, della violenza in genere (contro noi stessi, le donne, gli animali, il pianeta), riusciremo come bioregionalisti, come persone ecologicamente consapevoli, come chiunque vi sentiate di essere, se amate la Madre Terra e tutto ciò che ne consegue, a… vivere in un luogo in armonia con la natura.
Il grande psicologo James Hillman una volta ebbe una importantissima intuizione: per risolvere i nostri problemi basati sull’assurdo grande amore (Venere) degli umani (almeno quelli degli ultimi 6000 anni) per la guerra (Marte), basterebbe sostituire il tutto con una grande ed energica (Marte) passione (Venere) per la creatività e l’arte…(3).
In teoria ci può riuscire chiunque magari partendo dalla propria tavola, ogni giorno, creando fantasiosi piatti con prodotti naturali magari del proprio orto in armonia con il ritmo delle stagioni, e lasciando gli animali felici…(4).
In definitiva basta ricordarsi che le nostre vite sono collegate fra loro e agli altri (piante, animali, umani, il pianeta), nessuna ci appartiene, tutto è connesso… Passato e presente dipendono dai nostri crimini e dalla nostra bontà ed è così che generiamo il nostro futuro…(5).
Non è poi così difficile e se lo vogliamo veramente c’è un altro mondo che ci attende.

Stefano Panzarasa

Note: 
(1) Il termine Bioregionalismo, come visione e pratica ecologica e localista di vita, fu coniato all’inizio degli anni settanta in America dal compianto Peter Berg.
(2) A questo proposito cercare nel web il mio articolo Un Antico Futuro, scritto nel 2000 per la Rete Bioregionale Italiana.
(3) James Hillman, Un terribile amore per la guerra, Ed. Adelphi, 2005, Milano.
(4) Se non sapete da dove iniziare cercate Vongole felici, di MaVi, Ed. Stampa Alternativa, 2014, oppure www.cucinaecozoica.it
(5) Questa considerazione, l’ho ripresa, facendola mia e in  parte modificandola, da un dialogo (il manifesto di Sonmi – 451) ascoltato nel bel film Cloud Atlas (2012).

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