venerdì 31 marzo 2017

Natura ed animali - Contro la stagione venatoria allungata


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Tra un po' si apriranno in Regione Lazio le "consultazioni" per decidere il calendario venatorio 2017/18. E' facile immaginare che si proseguirà con la tendenza degli ultimi anni a concedere ai cacciatori una stagione con preaperture ai primi di settembre e chiusura il 10 febbraio, mentre la stagione "canonica" sarebbe 18 settembre -31 gennaio. Pochi giorni in più si dirà... pazienza. 

E no! perché nei giorni di preapertura di agosto, in cui in teoria si potrebbero cacciare pochissime specie, i cacciatori sparano a tutto, e il cielo è ancora pieno di migratori!  Nei giorni di febbraio la vigliaccata è quella di colpire animali stremati dall'inverno e anche qui il rispetto delle prescrizioni sulle specie cacciabili  è nullo. Considerate anche che la Forestale e le Polizie Provinciali non ci sono più e il gioco è fatto.

Vi chiedo di far partire (con il copia e incolla) la mail sottostante e di diffonderla.  Ci sono gli indirizzi mail.
Potete modificarla come volete ma MI RACCOMANDO! usate toni educati e costruttivi! 

Grazie, pensiamo ai nostri amici alati che meritano la comprensione che il mondo politico nega loro sempre , sempre di più!

Francesco Mantero - f.mantero@libero.it


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Lettera consigliata:

al Presidente della Regione Lazio
On Nicola Zingaretti


Regione Lazio
Carlo Hausmann

 Mauro Buschini

Oggetto: chiedo che non venga allungato il calendario venatorio

Signor Presidente, Signori Assessori 
Da alcuni anni la Regione Lazio sta concedendo nei calendari venatori delle giornate di preapertura e la posticipazione della chiusura della caccia al 10 febbraio.
Come cittadino ed elettore mi oppongo fermamente ad una eventuale, analoga decisione per il calendario venatorio 2017/18.
Le specie animali sono ogni anno più minacciate dai cambiamenti climatici e dalle trasformazioni del territorio. I loro habitat scompaiono, sia qui che nei paesi dove svernano i migratori e noi di fronte a questo drammatico stato di cose non possiamo rispondere con un aumento del periodo destinato alla loro persecuzione. La situazione sul nostro territorio è inoltre resa più problematica dallo scioglimento del Corpo Forestale dello Stato e della Polizia Provinciale che sta determinando in tutto il Paese una forte carenza di controlli a vantaggio dei tanti che non rispettano le norme venatorie. Lo scorso anno durante la preapertura sul litorale romano furono recuperati dei rapaci feriti da chi evidentemente non tiene in nessun conto leggi e regolamenti. C'è poi da considerare il disturbo incessante che la gente che vive sul territorio subisce per lunghi mesi, ai quali verrebbero ad aggiungersi ulteriori giornate di stress e disagio nello svolgimento delle normali attività.
Signor Presidente, Signori assessori, da cittadino cosciente del valore della fauna selvatica in un rapporto più costruttivo con la natura che ci circonda vi chiedo di NON CONSENTIRE preaperture venatorie e la posticipazione della chiusura al 10 marzo per la prossima stagione venatoria.

Distinti saluti

Nome, cognome, città

giovedì 30 marzo 2017

Urbanesimo e realismo ecologico bioregionale...

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Il bioregionalismo è uno strumento essenziale per la protezione e la conservazione dell’integrità biologica, culturale e politica di una determinata area geografica. Il suo scopo è quello di caratterizzare gli insediamenti umani in base alla collocazione geografica e all’appartenenza storica. 

Jim Dodge ci aiuta a comprendere quanto sia importante il concetto di bioregione: “Il bioregionalismo è semplicemente realismo biologico… che sostiene che la salute dei sistemi naturali è direttamente correlata alla nostra salute fisica/psichica, in quanto individui ed in quanto specie. Dobbiamo mettere in continua interconnessione il nostro mondo con gli altri sistemi naturali. Ed anche così, per quanto possenti siano le nostre leggi, le nostre tecnologie, i nostri eserciti, non è in nostro potere di far sorgere il sole la mattina o di far danzare la pioggia sulle felci dorate.”

Dodge stila una lista parziale delle caratteristiche che determinano una bioregione. Solitamente è possibile delinearla basandosi sul «passaggio» biologico delle specie animali e vegetali, dalla conformazione territoriale o topografica, dalla cultura caratterizzante gli insediamenti, dall’altitudine o dalla distanza dal mare.

È attraverso queste caratteristiche che il bioregionalismo si propone di riprogettare gli insediamenti umani; l’obiettivo è quello di riconquistare l’autosostenibilità economica ed ecologica, di ridurre drasticamente l’influenza negativa delle economie esterne, di abbattere i consumi energetici e preservare il territorio. Il bioregionalismo riporta l’economia ad una dimensione locale preservando l’ambiente e migliorando la qualità della vita.

Luca La Ferlita


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(Fonte: http://www.ortoverticale.com/labioregione/)

mercoledì 29 marzo 2017

Bioregionalismo e produzione ecologica del cibo come bene primario


L'agricoltura tradizionale perché è in crisi? Perché i prodotti dell'agricoltura, nei paesi in cui vige il benessere materiale, hanno perso sempre più valore a scapito di altri beni, sempre materiali, che ne hanno acquistato uno sempre maggiore e penso prima di tutto, a quelli tecnologici, beni che richiedono un consumo di altri beni (territorio, energia) sempre maggiori. Da qui l'aumento dei campi lasciati incolti.
L'alternativa dell'agricoltura contadina come garanzia di sopravvivenza ecologica
Del resto, la frutta e i pomodori, tanto per fare esempi eclatanti, ogni anno vengono distrutti o lasciati marcire sulle piante perché, per questo benedetto (maledetto) mercato il gioco non vale la candela, la raccolta e il trasporto non vengono ripagati dal ricavato.Vengono invece impiegati terreni ex agricoli, per impiantare pannelli fotovoltaici o coltivare colza. Lasciamo perdere il discorso degli allevamenti intensivi.
Quando è iniziata la meccanizzazione del lavoro ed ora l'informatizzazione sarebbe diminuita la necessità di lavorare fisicamente (ed anche temporalmente) invece più o meno si lavora come prima e quindi è necessario produrre beni per far lavorare persone e quindi altre persone devono essere incentivate ad acquistare questi beni, poi c'è la globalizzazione, scarpe prodotte nel terzo mondo che costano meno di quelle prodotte in Italia e quindi altra sottrazione di lavoro per noi... insomma è un casino.
Comunque ritorniamo al discorso iniziale: i prodotti agricoli, tranne qualche prodotto particolare costano sempre meno in proporzione, da cui l'abbandono del mestiere del contadino tradizionale.Di contro si sta sviluppando una nuova figura di "contadino alternativo" che ha con la terra un rapporto di amicizia, di amore e complice il fatto di un desiderio di ritornare ad una vita in sintonia con la natura, vorrebbero vivere in semplicità, dei frutti del loro lavoro, svolto con cura, ma in quantità modeste, senza dover affrontare la moltitudine di balzelli burocratici e pseudo sanitari, quando questi produttori produrrebbero come si faceva in casa una volta o poco più e con la stessa cura che utilizzerebbero per produrre per sé.
Secondo me c'è  spazio per questo approccio  e ce ne sarà sempre più, in questo momento di crisi e nella eventuale ulteriore crisi futura dovuta all'impoverimento delle riserve di combustibili fossili e di altre fonti energetiche non rinnovabili.
Il cibo deve tornare ad essere un bene primario, al quale dare il giusto valore, anche in funzione di un recupero di uno stato di benessere inteso proprio come salute del genere umano che per troppo tempo si è "accontentato" di cibarsi di prodotti ottenuti da terreni impoveriti e contaminati da prodotti tossici, da liquami, con un'aria e piogge piene di gas di scarico, di fumi di fabbriche e di riscaldamenti domestici, da animali allevati in condizioni stressanti, al limite della sopravvivenza, che non sopravvivono se non riempiti di antibiotici.
Se torniamo ad un'alimentazione naturale, basata principalmente sui prodotti della terra, avremmo tutti da mangiare e senza bisogno di ricorrere a tante sostanze di sintesi. In questo mondo il mestiere del contadino, potrebbe diventare quello più importante e ben pagato o comunque tale da dare a tanti piccoli operatori da che vivere più che dignitosamente, senza bisogno da parte delle ausl di fare tanti controlli.
Caterina Regazzi - Rete Bioregionale Italiana



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Di questi temi se ne parlerà durante la Festa dei Precursori che si tiene a Treia dal 23 al 25 aprile 2017 - Programma:  http://www.circolovegetarianocalcata.it/2017/02/22/treia-33a-edizione-della-festa-dei-precursori-23-24-e-25-aprile-2017/


martedì 28 marzo 2017

Roma, dal 21 al 25 aprile 2017: “Villaggio per la Terra, Festival dell’economia circolare, Earth Day"


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Dal 21 al 25 aprile 2017 a Roma ritorna sulla Terrazza del Pincio e al Galoppatoio di Villa Borghese il “Villaggio per la Terra”: cinque giornate dedicate alla difesa dell’ambiente planetario, animate da musica, scienza, sport, giochi, arte e tanto buon cibo, e arricchite da un innovativo festival sull’economia circolare, mobilità sostenibile ed educazione ambientale. L’evento, realizzato in collaborazione con il Ministero dell’ambiente, nelle giornate del 23 e del 24 aprile, ospiterà il Festival dell'Economia Circolare. 

“Recycling Generation” è infatti il titolo di questa manifestazione, organizzata con la collaborazione scientifica della storica Accademia Kronos, guidata da Ennio La Malfa, per ricordare a tutti che l'economia avrà una prospettiva solo se diverrà Circolare e Responsabile verso le future generazioni. Le mille opportunità dell'economia circolare aprono scenari di sviluppo inimmaginabili, che l'economia tradizionale non è più in grado di offrire. Basti pensare ai green Jobs, alle start up, all'economia di impatto, all'economia civile, al riciclo delle materie di scarto: sono questi solo alcuni dei temi trattati nella grande tenda dei convegni del Villaggio per la Terra, dove i visitatori potranno viaggiare nel futuro sostenibile che molti economisti, fisici, matematici ed ambientalisti indicano come l'unico possibile. I due giorni dedicati all’economia saranno inoltre l’occasione per conoscere e condividere l’esperienza e il progetto dell’Economia di Comunione che il Movimento dei Focolari ha lanciato 25 anni fa e che coinvolge imprenditori ed economisti a ribaltare la normale concezione dell’utile visto solo in senso individualistico, aprendolo alla cultura del condividere in un’attenzione continua a tutti i soggetti che agiscono nello scenario economico e in tutti i comparti della produzione. 

Durante il Festival, saranno presentati in anteprima anche l'Expo di Astana sulle Energie Rinnovabili e il G7 Ambiente che si terrà in giugno a Bologna. GLI EVENTI. Dedicati sia agli adulti, sia ai più piccoli, agli sportivi, alle famiglie, agli studenti e agli esperti, nel villaggio sono in programma eventi di musica, di scienza, di sport, come pure giochi, momenti di arte e degustazioni gastronomiche. Tra le attrattive ci saranno laboratori ludici, didattici, un villaggio dei bambini, laboratori di sismologia e vulcanologia, il planetario gonfiabile, corsi di giornalismo ambientale, dimostrazioni sportive a cura di campioni olimpici e paraolimpici, biciclettate, tornei e competizioni sportive. 

Si svolgono poi diversi festival tematici: oltre a quello sull’economia circolare, ce ne sanno altri dedicati alla mobilità sostenibile, all’educazione ambientale, ai libri, alla festa dell’Erasmus e il forum 'Cambiamenti climatici e migrazioni forzate' dedicato al tema del drammatico aumento di eco-rifugiati nel mondo. Al Galoppatoio di Villa Borghese è stato allestito anche un villaggio sportivo in collaborazione con il CONI. Al Villaggio per la Terra si celebrerà anche l’Earth Day, giunto alla sua 47ma edizione, l'evento più importante al mondo per richiamare l’attenzione alla difesa dell’ambiente terrestre, celebrato da un miliardo di persone nei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. Sulla terrazza del Pincio si svolgerà anche il Concerto per la Terra. Grazie all’impegno di Pierluigi Sassi, Presidente di Earth Day Italia, dallo scorso anno è stato organizzato il Villaggio per la Terra insieme al Movimento dei Focolari di Roma. La scorsa edizione ha avuto un rilievo mondiale grazie alla partecipazione a sorpresa di Papa Francesco con il suo forte messaggio ai partecipanti “Trasformate deserti in foreste”, che ha spinto Movimento dei Focolari ed Earth Day Italia a dedicare l’edizione di quest’anno al Dialogo Interculturale per la Pace, ponendo così l'accento sull'urgenza assoluta di costruire ponti e abbattere muri, nella convinta ricerca di quell'unità mondiale senza la quale è impossibile rimettere al centro l'uomo e la sua felicità. 

Temi che quest’anno sono di viva attualità e che impongono alla umanità intera di trovare risposte immediate alle criticità incombenti, che minacciano la pace e la stabilità dell’intero ecosistema.  

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(A.K. Informa)

lunedì 27 marzo 2017

Verso il "Contratto di Fiume del Tevere nell'area urbana di Roma"


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E’ avviata la fase di attuazione del programma delle misure (PoM.2) conseguente dall'approvazione dell'aggiornamento del Piano di Gestione del Distretto dell'Appennino Centrale (PGDAC.2) da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri; all’interno del PGDAC.2 è menzionata la pluriennale attività del Consorzio Tiberina verso il "Contratto di Fiume del Tevere nell'area urbana di Roma".

I Contratti Territoriali (i Contratti di Fiume, nello specifico del Tevere) rappresentano strumenti di attuazione programmata delle misure rivolte sia a interventi strutturali sia a indirizzi e prescrizioni per le attività dei portatori d'interesse in un quadro organico d'azione con le specifiche misure degli aggiornamenti dei Piani Regionali di Tutela delle Acque (PRTA.2). In tal senso la natura partecipata dei Contratti di Fiume si inserisce a pieno titolo nella procedura di informazione e consultazione pubblica prevista dall'art. 14 della direttiva 2000/60/CE.

Tale quadro organico d'azione garantisce la dichiarata efficacia nel conseguimento dei risultati attesi. Le Regioni approveranno entro l'anno i PRTA.2 che, secondo l'accordo CE-Italia raggiunto a Bruxelles nel settembre 2013, costituiscono (in virtù dell'art. 13.5 della Direttiva n. 2000/60/CE) specializzazione territoriale degli obiettivi e delle misure del PGDAC.2.

Nelle more dell'approvazione dei PRTA.2 e in preparazione dei necessari raccordi operativi, è opportuno preliminarmente definire un quadro delle attività previste nei Contratti di Fiume riguardanti i territori della regione Tiberina che, attesa la continuità idraulica del reticolo, producono o subiscono gli effetti secondo la naturale dinamica monte-valle. L'univocità delle pressioni e degli impatti che si vogliono contrastare (alle cui informazioni la CE tiene in particolar modo), il grado di attuazione delle misure previste (oggetto di specifici report alla CE), il reciproco condizionamento degli effetti delle misure espresse in un ambito di Contratto (ai fini del raggiungimento reale degli obiettivi dichiarati), il diverso stadio di sviluppo dei Contratti in corso (atteso il necessario coinvolgimento dei portatori d'interesse), la sinergia con le misure regionali dotate di definite risorse finanziarie (che esclude misure di non certa attuabilità e attuazione) e la certezza di tempi e modi di attuazione delle misure e di controllo dei risultati (che include un quadro di responsabilità nei confronti della CE anche in relazione alle attività di monitoraggio), tutti richiedono la massima efficienza di questi strumenti di programmazione concertata fra soggetti pubblici e privati.

Da http://www.unpontesultevere.com/index.php/eventi/143-nota-sul-contratto-di-fiume-del-tevere-nell-area-urbana-di-roma-inviata-ad-autorita-di-bacino-del-fiume-tevere-convocazione-riunione-sui-contratti-di-fiume-30-03-2017 la sintesi inviata dal Consorzio Tiberina all’Autorità di bacino del fiume Tevere a seguito di convocazione ricevuta per l’aggiornamento del quadro in parola relativamente al processo sul Tevere a Roma avviato dal 2014 dal Consorzio Tiberina e inserito nel suddetto PGDAC.2; nella sintesi sono inseriti i riferimenti nel PGDAC.2 all’attività del Consorzio.

Essendo il processo intrinsecamente partecipativo, è importante raccogliere nel corso degli anni i contributi più vari – da fonti diverse (Università, Associazioni, Progettisti, Imprese, etc) – che potrebbero confluire nel “Programma d’azione” del Contratto di Fiume, previa elaborazione del così detto “Documento strategico” (già peraltro a sua volta a buon punto). A fianco della “strumentazione” relativa al ciclo dell’acqua studiata soprattutto con la consorziata Università degli Studi “Tor Vergata”, nella Sezione “Archivio” del portale partecipativo http://www.unpontesultevere.com/ aggiungiamo continuamente i contributi pervenutici; ma sarebbe antinomico, nello spirito dello strumento del Contratto di Fiume, menzionare fin d’ora l’uno o l’altro intervento nelle bozze dei documenti finali. Copiosa è la documentazione dalle Università consorziate. Dall’area di Architettura de “La Sapienza” di Roma, dopo quelli dei Professori Orazio Carpenzano e Antonino Saggio, aggiungiamo un breve “memo” sul pluriennale lavoro (anche sull’Ambito Strategico Tevere del Piano Regolatore Generale di Roma) del Prof. Ruggero Lenci: http://www.unpontesultevere.com/index.php/archivio/144-alcuni-contributi-dal-prof-ruggero-lenci. E’ evidente che un Master Plan, coerente con il P.R.G., con il P.S. 5 e con gli altri strumenti di pianificazione vigenti, potrebbe essere uno degli obiettivi di maggior interesse.

Sia per l'appuntamento presso l'Autorità di bacino sia per la redazione di tutti i previsti documenti si attendono gli abituali contributi da Consorziati e non, da Persone Giuridiche e singoli cittadini, come sempre avvenuto fin dal 2014 nelle elaborazioni fin qui sviluppate. Se la parte tecnico-scientifica è ovviamente della massima importanza nei Contratti di Fiume (e l’approccio del Consorzio, riferito all’intera regione Tiberina – ivi compresi i sub-bacini di tutti gli affluenti del Tevere –, privilegia il coordinamento monte-valle e le relative interazioni, con effetti cumulativi su Roma fino alla Foce e al Tirreno), nel contempo gli elementi vari riconducibili a tematiche di fruizione e valorizzazione non possono essere sviluppati in maniera centralistica o dirigistica, ché altrimenti non incontrerebbero l’interesse dei cittadini.

Interessante, vista la durata tipicamente triennale del “Programma d’azione” dei Contratti di Fiume, sarebbe puntare alla conclusione dello svolgimento dello stesso per il Tevere nell’area urbana di Roma proprio al cadere dei 150 anni della proclamazione a Capitale d’Italia, a inizio 2021.

Comunicati Consorzio Tiberina - redazione@unpontesultevere.com  

domenica 26 marzo 2017

Bioregionalismo - Ri-abitare il luogo in cui si è...

Treia - Fuori porta al crepuscolo

Essendo vissuto per moltissimi anni in un contesto urbano (sono nato e vissuto a Roma ed ho anche abitato per diversi anni a Verona), ed avendo anche tentato un esperimento di ri-abitazione di un piccolo borgo abbandonato, Calcata, con conseguente tentativo di ricostituire o -perlomeno- avviare un processo di comunità ideale (non so con quale successo…), posso affermare che massimamente il mio procedere “bioregionale” si è svolto in un ambito sociale “cittadino”. Ma attenzione, essere un cittadino non significa abitare in città bensì vuol dire riconoscersi in un “organismo" comunitario  umano.


Dal 2010 mi sono trasferito in una cittadina delle Marche, Treia, e questo è un successivo passo avanti verso la mia ricerca di una sistemazione sociologica ideale…. Infatti Roma è abitata da 6 milioni di persone, è insomma una metropoli, Verona conta quasi mezzo milione di abitanti, Calcata meno di mille… Mentre Treia arriva quasi a diecimila. Insomma sto cercando una giusta via di mezzo, adatta al mantenimento di un sano rapporto con l’ambiente e gli animali senza dover rinunciare ai vantaggi della “civitas”, essendo noi umani esseri altamente socializzanti….


La parola “Bioregionalismo” come pure il termine “Ecologia profonda” sono neologismi coniati verso la fine degli anni ‘70 del secolo scorso, rispettivamente da Peter Berg ed Arne Naess, uno scrittore ed un ecologista, ma rappresentano un modo di vivere molto più antico, che anzi fa parte della storia della vita sul pianeta ed ha contraddistinto tutte le civiltà umane (sino all’avvento dell’industrializzazione selvaggia e del consumismo). Diciamo che il “bioregionalismo” (che equivale all’ecologia profonda) contraddistingue un modo di pensare che muove dall’esigenza profonda di riallacciare un rapporto sacrale con la terra. Questo rapporto si conquista partendo dalla volontà di capire -riabitandolo- il luogo in cui viviamo.


Una bioregione infatti non è un recinto di cui si stabiliscono definitivamente i confini ma una sorta di campo magnetico (aura – genius loci) distinguibile dai campi vicini solo per l’intensità delle caratteristiche che formano la sua identità, alla stessa stregua degli esseri umani, contemporaneamente diversi e simili l’uno all’altro.


In una ottica bioregionale – dovendo analizzare i requisiti antropologici di una città ideale – occorre prima vedere gli aspetti di cosa è una città. Noi usiamo il termine città che deriva da “civitas” ma dobbiamo considerare anche l’altra definizione “urbs”, questi due termini hanno pari valore nella fondazione ed urbanizzazione del luogo abitativo.


Dal punto di vista antropologico sappiamo che una piccola comunità di 1000 persone consente a tutti i suoi membri la conoscenza personale ed inter-relazione reciproca. Ogni cosa prodotta ha come fruitori i membri tutti ed altrettanto dicasi per quanto è scartato. Nelle comunità antiche, nelle tribù che furono la base della vita umana per migliaia di anni, la reciprocità o solidarietà era elemento di sopravvivenza e sviluppo. Quando lentamente si giungeva ad una summa di tribù dello stesso ceppo originario (diciamo cento entità di 1000 componenti) si diceva che era nato un popolo, una società, insomma una “civitas”. Dobbiamo quindi partire da un elemento precostituito e cioé che l’ambito di una “comunità ideale” non dovrebbe superare i centomila abitanti. Ciò vale anche per una metropoli che andrebbe suddivisa in quartieri di tale entità. Perché? Per un semplice motivo: se tutti i componenti di una comunità “originaria” hanno interrelazioni in allargamento (diaspora) sarà possibile connettersi indirettamente o direttamente con gli appartenenti ai vari gruppi che compartecipano allo stesso luogo. Tutti individui diversi dal gruppo originario ma tutti “elementi effettivi” della stessa collettività.


Ampliando così il ramo di interesse dalla parentela vicina o lontana alla compartecipazione, somiglianza e convivenza nello stesso luogo. A questo punto le varie entità (o gruppi di individui) son paritetiche l’un l’altra, intrecciate in un contesto di relazioni e formano la base della città ideale. Forse i membri della città apparterranno a ceti diversi ma assieme a noi vivono nella città, con essi manteniamo numerosi rapporti personali come fra membri di una tribù ideale. Questa si può definire società ed il processo descritto conduce a forte correlazione e socializzazione e vivifica l’intera comunità. Ma si può dire che centomila abitanti son un limite. Giacché questo è il livello d’interrelazione possibile e la città bioregionale -secondo me- deve comprendere criteri di suddivisione sociale che rispettino questi termini numerici.


Non ho nulla contro la vita umana negli agglomerati umani, ma occore portare elementi di riequilibio all’insieme degli elementi vitali, materiali od architettonici che siano.


Il primo passo verso la riarmonizzazione delle aree urbane è il riconoscimento che esse si trovano tutte in bioregioni, all’interno delle quali possono divenire protagoste ed ecosostenibili. La peculiarità dei suoli, bacini fluviali, piante e animali nativi, clima, variazione stagionale e altre caratteristiche che sono presenti in un luogo-vita bioregionale (ecosistema), costituiscono il contesto base per l’approvvigionamento delle risorse quali: cibo, energia e materiali vari. Affinché questo avvenga in modo sostenibile, le città devono identificarsi e porsi in reciproco equilibrio con i sistemi naturali.


Non solo devono reperire localmente le risorse per soddisfare i bisogni dei propri abitanti ma devono altresì adattare i propri bisogni alle condizioni locali. Questo significa mantenere le caratteristiche naturali che ancora rimangono intatte e/o ripristinarne quante più possibili. Per esempio risanando baie inquinate, laghi e fiumi affinché possano ridiventare habitat salubri per la vita acquatica, contribuendo in tal modo all’autosufficienza delle aree urbane. Le condizioni che contraddistinguono le aree geografiche dipendono dalle loro peculiari caratteristiche naturali: una ragione in più per adottare i principi base del bioregionalismo, appropriati e specifici per ogni luogo e -soprattutto- utilizzabili per orientare al meglio le politiche municipali.


Le linee guida di questo mutamento possono essere prese da alcuni principi base che governano gli ecosistemi:

1) Interdipendenza. Accrescere la consapevolezza dell’interscambio fra produzione e consumo, affinché l’approvvigionamento, il riuso, il riciclaggio e il ripristino possano diventare integrabili.

2) Diversità. Sostenere la diversità di opinione così da soddisfare i bisogni vitali oltreché una molteplicità di espressioni culturali, sociali e politiche. Resistere a soluzioni che privilegino i singoli interessi e la monocultura.

3) Autoregolamento. Incoraggiare le attività decentralizzate promosse da gruppi di quartiere-distretti. Rimpiazzare la burocrazia verticistica con assemblee di gruppi locali.

4) Sostenibilità economica. Scopo della politica è quello di operare con interessi lungimiranti, minimizzando rimedi fittizi ed incentivando un processo di riconversione ecologica a lungo termine.


Mi sembra che il materiale trattato per il momento possa bastare al fine di una riflessione sul tema.



Paolo D’Arpini, referente della Rete Bioregionale Italiana

circolo.vegetariano@libero.it – Tel. 0733/216293



A Roma


A Calcata


A Treia

sabato 25 marzo 2017

La fine dell'uomo



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Gli interventi dell’uomo nel tentativo di “aggiustare” la vita sul pianeta sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie e sulla natura  coinvolge anche l’uomo, che non è separato dal mondo animale e dalla natura.
Le regole della vita sono molto semplici, ogni specie sia vegetale che animale ha una interrelazione mutualistica con il suo habitat e con tutte le specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori e così si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti.
Ma dove l’uomo è intervento immediatamente questo equilibrio è andato perso. Lo abbiamo visto con la desertificazione del Nord Africa e del Medio Oriente causata da un esagerato incremento dell’allevamento domestico e di transumanza. 
Questo più l’abitudine venatoria nei confronti di specie ritenute nocive o -al contrario- utili all’economia umana hanno trasformato talmente l’habitat da renderlo irriconoscibile… Tutto ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poiché gli avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli, se non millenni, ed era alquanto difficile per l’uomo riconoscerne gli effetti (legati al suo comportamento).
Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l’intervento umano sull'ambiente  ha una conseguenza presso che immediata e non si può far a meno di considerare le cause -come gli effetti strettamente interconnessi- delle mutazioni in corso. Dove l’uomo interviene la natura e la vita recedono.
Persino ove l’uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato anche lì combina guai peggiori. Lo abbiamo visto ad esempio con la politica dei ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data bioregione e recuperate in altri luoghi del pianeta per esservi reimmesse. 
Questa politica di recupero ambientale è invero deleteria. I danni causati all’habitat dall’introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tant'è che di tanto in tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per il contenimento di dette specie.
A dire il vero la mia impressione è che questa pseudo  politica ambientale è solo funzionale ad interessi altri, che non sono quelli della natura. La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi, creando una altalena di presenze fra fonti alimentari, specie predate e specie predatorie ma dove interviene l’uomo appare il caos. Ma oggi sembra  impossibile che la natura sia lasciata a se stessa, dovrebbe scomparire l’uomo. 
La specie umana è aumentata numericamente a dismisura e non ha predatori, né  grosse epidemie che secoli fa decimavano la popolazione, e cibare tutte queste persone, carnivori o vegetariani che siano, porta comunque ad un’alterzione dell’habitat naturale.
Inoltre gli animali sono sempre più visti come oggetti di abbellimento -se inseriti nei parchi- o d’uso alimentare o industriale -se allevati intensivamente. 
Potete allora vedere che questo gioco delle parti danneggia tutti i cittadini e la natura stessa che è continuamente manipolata pro e contro questo e quello. Insomma un pretesto affaristico in una società che non considera l’animale diversamente da un plusvalore qualsiasi.

Il rapporto fra uomo natura e animali è andato nel corso di questo ultimo secolo deteriorando sino al punto che gli alberi e gli animali,  un tempo simboli di vita, totem, archetipi e divinità, sono relegati nei parchi, nelle riserve o negli zoo o utilizzati come cavie o  carne da macello, come fossero “oggetti” e non esseri viventi dotati di intelligenza, sensibilità e coscienza di sé. 
Anche se etologi famosi, come ad esempio K. Lorenz e tanti altri, hanno raccontato le similitudini comportamentali e le affinità elettive che uniscono l’uomo agli animali, il metodo utilitaristico, che per altro si applica anche nella società umana verso i più deboli ed i reietti, ha preso il sopravvento.
Pare, ma non è detto, che al momento opportuno si risvegli nella coscienza umana la consapevolezza della comune appartenenza alla vita.
Paolo D'Arpini

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venerdì 24 marzo 2017

Il livello del Mar Mediterraneo sale...


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Il Mediterraneo si è innalzato di circa 30 cm negli ultimi mille anni rispetto ad un aumento più che triplo previsto nei prossimi 100 anni dal gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC). È quanto emerge da una ricerca sulle variazioni del livello del Mediterraneo coordinata dall’ENEA, che dimostra come le previsioni al 2100 dell’IPCC rappresentino un’evidente accelerazione dell’innalzamento del livello dei mari, dovuta principalmente al cambiamento climatico.

Lo studio, pubblicato dalla rivista scientifica Quaternary International dell’editore Elsevier, è stato realizzato insieme a ricercatori dell’INGV e delle Università di Roma “La Sapienza”, Bari “Aldo Moro”, Lecce, Catania, Haifa (Israele), Parigi e Marsiglia (Francia).

“La ricerca ha preso in esame l’innalzamento del nostro mare in un arco temporale mai studiato prima”, spiega Fabrizio Antonioli del Laboratorio Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA, che ha coordinato lo studio. “In mille anni – aggiunge Antonioli – il Mediterraneo è aumentato da un minimo di 6 a un massimo di 33 cm, un livello inferiore del 65 per cento rispetto alle più recenti proiezioni dell’IPCC, secondo le quali l’innalzamento del mare a livello mondiale è stimato tra i 60 e i 95 cm entro il 2100. Si tratta di un’evidente accelerazione, dovuta principalmente al cambiamento climatico causato dall’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, che negli ultimi quattro anni ha superato in modo stabile il valore di 400 ppm, un livello mai toccato sulla Terra negli ultimi 23 milioni di anni”.

Per studiare le variazioni del livello del Mediterraneo, il team di ricerca ha preso in esame 13 siti archeologici sulle coste di Italia, Spagna, Francia, Grecia e Israele, in luoghi dove venivano estratte le mole olearie, cioè le grosse pietre utilizzate per la macinazione delle olive. L’aumento più elevato è stato riscontrato in Grecia a Nea Peramos sul golfo Saronico vicino ad Atene, mentre il valore più basso è stato misurato nell’isola spagnola di Maiorca. “Questo studio – sottolinea Antonioli – è stato realizzato in aree stabili da un punto di vista tettonico, alcune anche parzialmente sommerse, coniugando scienza e archeologia”. In Italia l’indagine si è concentrata in tre aree del sud - Scario (Salerno), Torre Santa Sabina, vicino Otranto (Lecce) e Punta Penne (Brindisi) - dove il livello del mare si è innalzato di circa 15 cm negli ultimi mille anni.

“In Italia – conclude Antonioli –  sono 33 le aree a rischio a causa dell’aumento del livello del mare. Le aree più estese si trovano sulla costa settentrionale del mare Adriatico tra Trieste e Ravenna, altre aree particolarmente vulnerabili sono le pianure costiere della Versilia, di Fiumicino, le Piane Pontina e di Fondi, del Sele e del Volturno, l'area costiera di Catania e quelle di Cagliari e Oristano. Il massimo aumento del livello delle acque è atteso nel Nord Adriatico dove la somma del mare che sale e della costa che scende raggiungerà valori compresi tra 90 e 140 centimetri”.

Accelerazione dell'innalzamento dei mari nel Mediterraneo
(Fonte: Arpat)

giovedì 23 marzo 2017

Chiamata per una mobilitazione contro il G7 finanziario a Bari - Stralcio del documento programmatico


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Il ministro Padoan ha annunciato che dall’11 al 13 maggio 2017 si svolgerà, a Bari, il G7 finanziario, che vedrà incontrarsi i ministri delle Finanze, i presidenti delle banche centrali, i rappresentanti della BCE e i responsabili del FMI. Questo appuntamento anticiperà il summit di Taormina indetto per fine maggio.

Il G7, tanto importante per i potenti della terra, è per noi un ulteriore motivo per ribadire la nostra avversità al modello di sviluppo proposto dal capitalismo mondiale, basato sulla devastazione dei territori e sulla progressiva precarizzazione del mondo del lavoro, in uno scenario di frontiere chiuse alla libera circolazione degli esseri umani ed inesistenti per le merci e le armi. Anche la nostra regione è da anni scenario degli effetti nefasti di un capitalismo al collasso e, mai nella storia, così spietato e dannoso.

Un G7 finanziario ha un peso particolarmente grande in un contesto di crisi economica globale in atto da quasi un decennio. La crisi è un passaggio naturale del sistema capitalista volto alla produzione per la produzione, in uno spasmodico ammassare profitti; un fattore endogeno e fisiologico dello stesso, è parte di esso e ciclicamente si manifesta.
Come ben noto, è proprio l’economia a scrivere l’agenda politica dei governi nazionali. Il clima di forte incertezza economica si traduce nell’incertezza delle nostre esistenze.
E’ innegabile, stiamo pagando il prezzo più alto in termini di precarietà delle nostre esistenze. Le politiche di Austerity sono una diretta e macabra conseguenza delle decisioni derivanti dai precedenti summit. Coloro che oggi popolano il mondo delle lotte sociali hanno attraversato, o sono i prosecutori, di quei movimenti che da Seattle hanno contrastato il dominio finanziario. Tutti e tutte siamo vittime di scelte sbagliate e processi economici che hanno dato il la al non-sviluppo basato sul precariato. 

..... (....)...

Sulla base di quanto accennato intendiamo dar voce con i fatti al nostro rifiuto verso il G7. La risposta all’arroganza dei pochi che decidono sulle nostre vite deve necessariamente venire da un movimento creato dal basso che faccia della piazza il suo punto di partenza e di arrivo. Una presa di posizione netta e contraria contro il capitale finanziario rappresentato dal G7 e lo stato che lo legittima è, per noi, ora come in futuro, l’unica possibilità praticabile.

Abbiamo deciso di metterci in moto per un confronto popolare che provi a sviluppare una risposta antagonista questo stato di cose, sia sul piano regionale che nazionale.

Questo percorso vuole mettere al centro il Sud non solo inteso come area geografica di appartenenza ma come principio connettore di tutti gli sfruttati e le sfruttate dal sistema capitalista; come concetto che estrinsechi la condizione sociale di chi non soltanto si oppone ma, in uno sforzo di ricomposizione di classe che, partendo da qui, voglia costruire una proposta alternativa economica, sociale e quindi politica per il futuro.

E’ per questo che lanciamo un appello a tutto il mondo delle lotte sociale territoriali, ai lavoratori ed alle lavoratici, ai migranti, ai precari, agli studenti e alle studentesse, ai disoccupati, ai movimenti per il diritto all’abitare, agli spazi sociali, ai collettivi e singoli militanti a costruire un percorso politico alternativo e di contrasto al G7. Un confronto teorico e pratico, a Bari come a Taormina, che non rappresenti solo un punto di arrivo ma l’inizio di un progetto più a lungo termine. In un contesto in cui si sono presi il ruolo di protagonista, giocando sulla nostra pelle, l’antagonismo è l’unica strada possibile.

Per quanto detto e per avviare una discussione che coinvolga il territorio nazionale, vi invitiamo all’assemblea prevista nei giorni 1 e 2 aprile, a Bari negli spazi dell’Ex-Caserma Liberata.
Le due giornate, suddivise in tavoli tematici e successiva assemblea plenaria conclusiva, saranno così strutturate:

sabato 1 aprile 2017

  • ore 9:30 - Accoglienza, saluti, presentazione ed introduzione dei tavoli tematici;

  • ore 10:30 - inizio dei tavoli di discussione secondo le seguenti aree tematiche

- Economia: conflitto capitale-lavoro;
- Imperialismo e immigrazione;
- Lotte territoriali e anticapitalismo;
- Studenti: tra alternanza scuola-lavoro e sfruttamento;
- Capitalismo: una conseguenza del patriarcato;

  • ore 14:00 - pranzo sociale;
  • ore 16:30 - tavoli tematici di discussione;
  • ore 20:30 - cena sociale.

domenica 2 aprile 2017

  • ore 9:30 - tavoli tematici di discussione;
  • ore 14:00 - pranzo sociale;
  • ore 16:30 - avvio assemblea plenaria e stesura del documento finale
  • ore 20:30 - cena sociale.

Stralcio del documento programmatico 

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Info e adesioni: pugliacontroilg7@autistici.org

Assemblea interregionale NoG7-Bari


mercoledì 22 marzo 2017

Tracce di bioregionalismo nelle Istituzioni - Il fiume come sorgente di vita e di identità culturale


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Il fiume come sorgente di vita e di identità culturale, ma anche veicolo di pace, dialogo e sviluppo delle comunità. Con questo messaggio il ministro Gian Luca Galletti e il ministero dell'Ambiente hanno lanciato le celebrazioni della Giornata Mondiale dell’Acqua, indetta dall’Onu nel 1993 per il 22 marzo di ogni anno.

Entro la fine dell'anno l'Italia si farà promotrice e ospiterà una Conferenza sui Fiumi del mondo che unisca nella tutela, nella valorizzazione e nello scambio di esperienze i corsi d’acqua più importanti del Pianeta. Da qui il lancio del progetto “Aquamadre”, un nuovo brand riconosciuto a livello internazionale nel quale canalizzare le iniziative del ministero volte a diffondere una nuova cultura dell’acqua. Su impulso del ministero dell'Ambiente, nascerà inoltre, nel solco della riforma delle Autorità di Bacino, un Osservatorio nazionale sui “Contratti di Fiume”, nuovi strumenti di governance partecipata dei territori idrografici. Il ministro Galletti illustrerà al mondo scientifico e ai portatori d'interesse, assieme al direttore generale per la Salvaguardia del Territorio e delle Acque Gaia Checcucci, gli strumenti fin qui messi in campo  e le azioni per il futuro.

“I fiumi – spiega il ministro Gian Luca Galletti – sono al centro della sfida climatica, ambientale e di sviluppo economico globale. C'è dunque un filo conduttore che lega il Po e il Mississippi, il Reno e il Fiume Azzurro con i più piccoli corsi d'acqua italiani. L'obiettivo della Conferenza sarà scambiare esperienze e sentirci tutti parte, proprio come accaduto a Parigi, di un'unica profonda sfida di tutela e di crescita. Prezioso – spiega Galletti – sarà in questo senso lo sviluppo del progetto Aquamadre, per lavorare sulla cultura e l'informazione, lo scambio di modelli e progetti innovativi col resto del Mondo”.

“Nel nostro Paese per il bene acqua molto è stato fatto, in particolare sull'aspetto decisivo della governance: la riforma delle Autorità di Bacino - spiega il ministro – è una rivoluzione che consentirà una gestione più efficace sul territorio e una forte prevenzione dei rischi idraulici, così come è estremamente importante mettere a sistema con un Osservatorio degli innovativi Contratti di fiume che stanno già nascendo in ogni parte d'Italia, unendo soggetti pubblici e impegno privato in nome della tutela dei territori e della risorsa idrica. Non dimentico – conclude Galletti - norme di equità approvate come il ‘bonus acqua’ gratuito da 50 litri al giorno per abitante destinato alle fasce più indigenti e il decreto per il contenimento della morosità, che prevede rateizzazioni e maggiori attenzioni ai settori sociali più in difficoltà”.

Da 37 Autorità di bacino nazionali, di cui 30 interregionali si passa a 7 Autorità distrettuali: Po, Alpi Orientali, Appennino Settentrionale, Appennino Centrale, Appennino Meridionale, Sicilia e Sardegna. A ventisette anni dalla prima legge organica in materia di difesa del suolo (la 183/1989) e a ventidue dalla Legge Galli sulla riorganizzazione del servizio idrico integrato, la riforma delle Autorità di Bacino del 2016, in attuazione del Collegato Ambientale, ha rappresentato l'avvio di una nuova governance che riallinea l'Italia alle direttive europee in materia. Tra le novità il ruolo di riferimento del ministero per l'indirizzo, il coordinamento e la vigilanza, una semplificazione della filiera decisionale e la razionalizzazione delle competenze, con l'esercizio da parte di un solo ente delle funzioni di pianificazione e la predisposizione dei Piani di gestione acque e alluvioni, sulla base dei quali sono programmati interventi e risorse.

In questo contesto, l'intenzione del ministero è quella di valorizzare lo strumento dei “Contratti di Fiume”. Sono 93 quelli attivati in tutta Italia, di cui 82 avviati e 11 già sottoscritti, mentre altri 101 sono stati proposti o annunciati. I dati del dicastero dell'Ambiente spiegano l'attenzione attorno ai nuovi strumenti volontari di governo partecipato del territorio fluviale, in cui soggetti pubblici e privati lavorano insieme su un Programma d'azione condiviso e si impegnano ad attuarlo con la sottoscrizione di un accordo. Sono 17 oggi le amministrazioni regionali ad aver riconosciuto con atti formali i contratti di fiume, mentre è stato il Collegato ambientale ad inserirli nel Codice dell'Ambiente, quali “strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale”. La nascita dell'Osservatorio serve a favorire la loro corretta applicazione, ponendo il ministero nel ruolo di riferimento nazionale e di guida, con una banca dati per seguirne l'evoluzione e conoscerne punti di forza e debolezza, favorendo scambi e collaborazioni tra le varie esperienze italiane.

Il ministero ha individuato il brand “Aquamadre” quale vettore di riferimento per tutte le iniziative culturali e di sensibilizzazione legate alla cultura dell'acqua, con particolare attenzione ai fiumi. Un progetto tutto italiano che nel confronto a livello internazionale con reti e organismi di bacino dei più grandi corsi d'acqua del globo favorirà il trasferimento di conoscenze scientifiche e tecniche, informazioni, dati e buone pratiche. Sarà dunque un protagonista della Conferenza mondiale dei grandi fiumi, in cui rappresentanti di corsi d'acqua di tutti i Continenti metteranno a confronto idee e sfide quotidiane per combattere gli effetti dei mutamenti climatici, fenomeni naturali, l'inquinamento e la siccità, come anche i conflitti per l'accesso all'acqua.

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martedì 21 marzo 2017

Equinozi e solstizi - Le grandi celebrazioni della Natura


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Dovrebbero esserci quattro grandi feste nell’anno,  ai solstizi e agli equinozi. Quelle sono le feste vere. Come sarebbe facile spiegare alla nipotina perché si fa festa: è la Terra che si trova a un appuntamento attorno alla sua stella. Quei quattro appuntamenti ci sono da milioni di anni, e ci saranno ancora per molto, molto tempo.
  Dobbiamo abituarci all’idea di essere sul terzo pianeta di una stella di media grandezza a metà della sua vita, lanciata nel braccio esterno di una galassia qualunque, in mezzo a miliardi e miliardi di altre galassie.
  Le quattro feste sarebbero per tutti, per tutti gli esseri senzienti. Conoscono quell’appuntamento mammiferi, pesci, rettili, uccelli, e tutti gli altri; anche le alghe. Ad esempio tutte le piante verdi si accorgono che all'Equinozio la luce è uguale al buio. Eppure, fra gli umani di oggi, quasi nessuno se ne accorge, né ci pensa. Già, perché nella nostra cosiddetta civiltà, si preferisce fare festa per commemorare qualche battaglia “vinta”, magari con centinaia di migliaia di morti e distruzioni immense, si preferisce fare festa per ricordare qualche santo, o martire, o qualche madonna bianca o nera, o qualcuno che si è fatto ammazzare per ideologie in cui dopo qualche decennio non crede più nessuno. Oppure per qualche ”repubblica”, per dei nuovi confini destinati a creare guai e a sparire assai presto. Diventano roba per i libri di storia, e noi festeggiamo … Qualcuno, che invece ha perso “quella” battaglia, tace.
  Oppure si fa festa per “il lavoro”, che come viene inteso oggi dalla cultura occidentale, è in sostanza l’attività umana che distrugge la Vita, che sostituisce materia inerte a sostanza vivente, e pretende di rifare il mondo, quel meraviglioso mondo naturale che ha impiegato quattro miliardi di anni per divenire ciò che è. Con quello che festeggiamo come “il lavoro”, vogliamo rifare questo mondo, questo Pianeta, togliendo lo spazio vitale agli altri esseri senzienti. E per questo si fa festa? Sarebbe molto meglio abolire queste festività che sono solo per i cosiddetti “vincenti” o per chi venera “quei” santi, martiri, eroi, madonne, repubbliche, rivoluzioni.
  Invece dovremmo festeggiare insieme quando il sole è al suo massimo, quando la luce comincia a risalire e quando il giorno è uguale alla notte su tutto il Pianeta, con gli altri esseri senzienti, cioè altri animali, piante, ecosistemi, che lo sanno, se ne accorgono benissimo. Sarebbero feste per tutti, e molto più facili da comprendere per tutte le nipotine e i nipotini del mondo.    

Guido Dalla Casa              

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