martedì 5 febbraio 2013

Crisi ecologica, agricoltura industriale e sue conseguenze per l'habitat



Oggi più di prima i problemi ambientali continuano a rappresentare una delle maggiori preoccupazioni del nostro pianeta.

Le statistiche più recenti, verificate e diffuse dall’ONU, confermano la complessità della problematica ambientale e mettono in risalto, fra l’altro, l’impatto dell’agricoltura industriale  sull’attuale crisi ecologica.

Scendendo nel particolare e parlando di incidenza in percentuale sulle cause che scaturiscono l’effetto serra, possiamo tranquillamente affermare che le emissioni di gas serra vengono prodotte in buona parte proprio dall’agricoltura, rappresentando ben oltre il 30% del totale annuo delle attuali emissioni prodotte sulla terra.

In merito occorre evidenziare che l’agricoltura è una delle principali fonti responsabili della formazione di metano e protossido di azoto; infatti il metano deriva dalla produzione zootecnica e dalle risaie, il protossido d’azoto deriva dall’impiego dei fertilizzanti.

L’ONU ha segnalato, ed ultimamente anche rimarcato, che il perdurare di tale situazione, sarà la causa di un inesorabile cambiamento climatico ed avrà conseguenze pesanti sia sulle condizioni di vita degli agricoltori che dei pescatori e di tutte quelle altre persone che dipendono dalle risorse forestali ed agricole.

Secondo il rapporto redatto sempre dalle Nazioni Unite per l’Ambiente, dal 1980 i fenomeni pericolosi legati al clima sono aumentati; infatti le tempeste di vento sono aumentate del 100%, mentre le inondazioni sono aumentate addirittura del 350%.

Facendo riferimento agli anni passati, secondo le notizie derivanti dalle statistiche di cui si dispone, tenuto conto dei costi e degli impatti derivanti dalle pesanti catastrofi vissute nel mondo, si può affermare che gli anni 2008, 2010 e 2012  si sono rivelati anni da record per eccellenza.

Tra le varie catastrofi verificatesi negli anni in menzione che hanno causato oltre 100.000 morti non vanno dimenticate le siccità prolungate, i violenti fenomeni alluvionali, grandinate fuori tempo, ecc., che hanno distrutto interi raccolti e devastato intere aree in ogni parte del mondo, contribuendo alla crisi alimentare mondiale.

Una situazione particolarmente delicata e fragile è stata poi registrata dalla Fao nei Paesi insulari del Pacifico; il riscaldamento degli oceani, la maggiore frequenza di cicloni tropicali, di inondazioni e di periodi di siccità, continuano infatti a costituire un grave rischio con conseguenti  effetti devastanti sull’intera produzione alimentare di questi paesi.

Le catastrofi connesse con il cambiamento climatico stanno già mettendo a dura prova lo sviluppo di questi piccoli stati insulari, che sembrano attraversare una costante situazione di ricostruzione post-disastro.

Ma i cambiamenti climatici influiscono anche sulla vita degli animali, delle piante ed in particolare sulla modifica dell’habitat di quest’ultimi, infatti almeno 33.000 specie di piante e 5.400 specie di animali sono a rischio di estinzione.
Ricordiamo che l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN), al riguardo, ha redatto una Lista Rossa sulla quale raccoglie tutte quelle informazioni sulle piante e sugli animali nel mondo.

Su questa lista, tutte le specie a rischio sono state divise in 5 categorie: Vulnerabile (una specie ritenuta a rischio di estinzione allo stato selvatico); A rischio (una specie ritenuta ad alto rischio di estinzione allo stato selvatico); A un punto critico di rischio (una specie ritenuta ad altissimo rischio di estinzione allo stato selvatico); Estinta allo stato selvatico (una specie che sopravvive soltanto in cattività o all’interno di zone protette); Estinta (gli esperti sono sicuri che gli ultimi esemplari - selvatici o in cattività - siano tutti scomparsi).

Soltanto per i mammiferi si ritiene che siano a rischio un migliaio delle circa 4.600 specie esistenti: Animali come i rinoceronti neri, le tigri, i cammelli, le foche monache e tante altre varietà di animali, sono tutti sulla lista delle specie in pericolo.

Basti pensare che nell’ultimo trentennio il numero delle tigri si è ridotto a circa 5.000 esemplari, mentre quello dei rinoceronti neri è diminuito del 95%.

Ma perché i cambiamenti climatici diventano fonte costante di pericolo per la vita degli animali?

La spiegazione è semplice: Il mutare delle condizioni atmosferiche può causare il congelamento od il surriscaldamento delle acque ovvero può far diventare l’acqua troppo calda o troppo fredda; pertanto l’eventuale perdurare di tali situazioni può essere causa inevitabile del prosciugamento delle risorse o del congelamento delle stesse, costituendo così una fonte di pericolo grave, destinato a favorire e/o causare l’estinzione sia di piante che di animali.

Tra le proposte destinate a prevenire ulteriori disastri ambientali, è infine doveroso fare attenzione su alcune soluzioni impostate nella giusta direzione e che dovrebbero essere promosse con maggior vigore per ridurre le emissioni create dal settore agricolo/forestale e migliorare l’adattamento al cambiamento climatico; in particolare, semplicemente a fine conoscitivo, vanno segnalate: L’impiego di varietà di colture più produttive; un maggiore controllo degli incendi boschivi; una migliore gestione delle risorse naturali; la cattura del biogas proveniente dal letame animale; la rigenerazione del terreno mediante il controllo dei pascoli; la gestione organica del suolo; le pratiche di agricoltura conservativa ed infine i sistemi agro-forestali integrati.

Vincenzo Caia

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