venerdì 12 ottobre 2012

Inalazione, esalazione, ritenzione del respiro e conseguenze psicofisiche di questo processo - Spiritualità Laica


Ramana Maharshi


Ognuno di noi ha provato che nella forte emozione o quando la nostra concentrazione è più elevata automaticamente si interrompe il flusso del respiro “si resta senza fiato” si dice popolarmente. 


Questo “restare senza fiato” è anche un aspetto dello yoga pranayama in cui si cerca di ottenere il controllo sulle divagazioni mentali.

Persino grandi maestri come Ramana Maharshi, che insegnava la via dell’autoinvestigazione come metodo per la ricerca del Sé, raccomandava una sorta di pranayama per coloro che non si sentivano pronti all’indagine diretta sul “chi sono io”. Egli consigliava l’“antha pranayama” (la regolazione interna del respiro) accompagnando le varie fasi del respiro con i seguenti stati di coscienza, o pensieri:   “Durante l’inalazione: (Koham?) chi sono io? – Durante la ritenzione del respiro: (Soham) io sono la Coscienza – Durante l’esalazione: (Naham) io non sono il corpo o la mente”. Facendo così il flusso dei pensieri ne risulta automaticamente controllato,  ma –ricordiamolo- secondo il Maharshi (ed ogni altro grande maestro) il più effettivo metodo era la comunione con un Essere pienamente realizzato, lo stare “in compagnia con i santi”. 


Ma anche qui, a parte l’implicazione spirituale annessa e connessa, si presuppone (in qualche modo) una condivisione della stessa aria, il respiro che entra ed esce dal santo viene ri-trasmesso a chi gli sta d’appresso, evidentemente impregnato dello stato coscienziale del santo.

Sappiamo che nella religione ebraica e cristiana quando viene infusa la vita da Dio all’Uomo si parla di trasmissione del “soffio vitale”. Il respiro è energia primaria, tra l’altro esso è collegato all’olfatto che è il senso più antico, quello ci che pone direttamente in contatto con la realtà esterna. Anche se la respirazione è divenuta una funzione automatica, di cui la mente cosciente a malapena tien conto, essa resta pur sempre la principale connessione con la vita, sino “all’ultimo respiro”….

Evidentemente con il respiro non si assorbe solo “aria” nell’organismo ma –come viene insegnato in varie discipline esoteriche- anche “energia vitale”. Questa fu anche la ricerca intrapresa da uno psicologo contemporaneo, Wilhelm Reich, che fece molti esperimenti e studi in tal senso. Egli definì il respiro non solo aria ma “energia orgonica” (la stessa cosa in India è chiamata “prana”). Reich afferma che l’aria è solo un contenitore ma in essa è contenuto un potere chiamato “orgone” (o “elan vital” secondo altri ricercatori francesi).


Per questa ragione, diceva Osho, quando si viene ricoverati in un ospedale ci si sente particolarmente stressati e stanchi, poiché lì c’è una ricerca spasmodica di energia vitale. Altro esempio è quello del senso di disagio e oppressione che si prova quando si staziona in mezzo ad una folla e ci si sente risucchiati, alcuni provano questa esperienza anche stando in un piccolo spazio chiuso, come un ascensore, con altre persone….

Probabilmente questi stati di disagio sono dovuti ad una debolezza psichica in cui si è capaci di “proteggere” il proprio spazio vitale.


Ma il “prana” od “orgone” non è presente solo all’aperto o nell’aria esso è ovunque anche dove l’aria non può penetrare, e qui si riportano le esperienze di diversi yogi che restando sepolti per lunghissimi periodi in stato di animazione sospesa, in samadhi, senza respirazione né circolazione sanguigna, riuscivano a mantenere la vita trattenendo saldamente l’energia pranica nel corpo.

Chiaramente questa capacità di mantenere “stabile” l’energia vitale è legata alla volontà. Una proiezione di pensiero fortemente concentrata compie diversi miracoli e questo lo osserviamo anche attraverso gli studi sempre più evoluti sulla forza del pensiero: telecinesi, telepatia, teleforesi, etc. Il fatto è che già secondo il sistema yoga classico, quello di Patanjali, si collegavano tali poteri mentali alla pratica del controllo del respiro. 


Soprattutto nella fase prolungata di “kumbaka” (ritenzione) in cui lo stato di coscienza è forte e determinato, per la pressione percepita allo stato vitale in sospensione.

Ma dal punto di vista della quiete mentale i realizzati, come Ramana Maharshi, raccomandano una respirazione regolare, con ritenzione limitata alla consapevolezza del “Soham” (vedi sopra). Infatti nel respiro affannoso, sia nel piacere che nella paura od in altri stati mentali alterati, la mente non è mai serena ed il corpo sussulta in agonia parossistica.



Paolo D’Arpini

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