giovedì 13 settembre 2012

Bioregionalismo nel vento di Cranno.. a Ca' dell'aria - Prosa poetica di Teodoro Margarita

Foto di Gustavo Piccinini - Fiori


Spira il vento su Cranno
 
C'è vento su Cranno, forte, stasera e ci sono parole, tante e desideri. Vorrei che questo vento mi portasse nell'orto buoni semi e non sentire come lo strascico di piedi trascinati, come un dolore, forte di rottura e di separazione.
 
Si porta via l'agosto infuocato, questo vento, la mia casa, non a caso detta da circa un secolo "Cà dell'aria" soffre e vibra tutta. Ogni infisso, ogni vetro frene.
 
E' come se mille ghiri si fossero messi a ballare dappertutto, su in soffita, per le camere, ovunque. Ed invece non sono ghiri simpatici ma questo ventaccio che sibila e ringhia, forte.
 
Sta spazzando le nubi e le spinge verso est, il vicino, Giorgio, io, noi che coltiviamo, avremmo voluto più acqua ed il temporale di stamane non ci è bastato. No. Nient'affatto.
 
Abbiamo avuto un agosto secco e torrido, migliaia di alberi, specie quelli sui crinali più esposti, qui nella valle, sono rossi, hanno perso già ogni foglia e sembrano morire.
 
Sembrano scottati, punti dalla vampa di fuoco a morte, arsi.
 
E benvenuta è stata questa pioggia e benvenute saranno tutte quelle che arriveranno.
 
Se i pomodori son venuti bene e belli, questa estate del 2012 la ricorderemo per questi 35 gradi perenni, tutti i giorni, ad agosto, caldissimo.
 
Zucche poche e l'insalata tutta in seme, ciò che necessitava di acqua non è andato bene, girasoli, pomodori, peperoni ed altre essenze di origine tropicale stanno egregiamente.
Ma le montagne, le montagne con quelle chiazze rossastre, quei sentori di autunno innaturali, di morte anzitempo di tutta la verzura, questo è triste, presentimento di tempi ancora peggiori che potrebbero venire.
 
Tempi senz'acqua, tempi in cui i fiumi non giungerebbero più al mare e già il Rio Grande non arriva più nel golfo del Messico, prosciugato a monte per irrigare campi da golf.
 
Ed in Cina, a rischio grandi fiumi come il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro, straziati e incasellati dalle dighe.
 
Questo vento su Cranno sembra voler urlare che l'acqua è preziosa e che basta poco per evaporarla, per svanirla, oplà, un gioco di prestigio e via, non c'è n'è più. Sparita.
 
Soffia forte ed asciuga le residue speranze di ripristinare le riserve, eppure... Quest'inverno, con i suoi quindici giorni gelidi, tra gennaio e febbraio, con i termosifoni scoppiati pieni di ghiaccio e che contrasto con quest'agosto caldo!
 
Sembra che la Natura voglia giocare a beffarci, ci prende in giro, ci sorprende e ci tratta nè più nè meno come cavie.
 
Presuntuosi noi pensiamo che sia la terra, il Pianeta, il posto su cui sperimentare nuovi giochi e giochini tecnologici: non è così. Se pure facessimo esplodere tutte le atomiche in nostro possesso sarebbero nulla in confronto alle quotidiane, innumerevoli eruzioni che il sole sprigiona normalmente e noi, assassini, ciechi, suicidari professionisti, tutti e otto miliardi messi assieme cosa siamo? Nulla, uno sciame di meteoriti che impattase un corpo celeste farebbe più danno, scaverebbe un cratere più vasto.
 
Il vento di Cranno mi urla, mi insulta, mi si avvita dentro e ringhiando mi sbatte in faccia la mia pochezza. La nostra pochezza: se basta una nottata di vento ad essiccare sogni e speranze, provo ad immaginare il deserto creato dall'harmattan che spira da secoli sul Sahara, noi diverremo, noi, le mille dune che esso si compiace di comporre e scomporre? Noi, nulla? Eppure, il vento di Cranno, prendendo la sua folle rincorsa dalle altezze della Grigna e soffiando verso il lago e poi a capofitto lungo il torrente, viene ad aizzare i miei pensieri.
 
E sono pensieri tetri. Neri come il fuoco batterico che quest'estate ha ucciso alcuni miei peri: fulminati, arsi senza scampo, senza possibilità di cura. Poveri alberelli, come carbonizzati, prima si sono accartocciate le foglie poi è morto incenerito, necrotizzato tutto il tronco fino alle radici.
 
E meno male che non ha intaccato le altre piante, è stato terribile. Il vento di Cranno mi porge il conto e me lo deposita in memoria. Non dimenticherò e so che potrà succedere ancora. Si paga il rosso fuoco del pomodoro e i mille colori dei tagete , delle zinnie, dei cosmos con altre ombre: la morte si ripaga con la vita e ciò che il torrido risparmia , più risplende.
 
Mi grida tutto questo il vento di Cranno ed altro ancora in questa sera di settembre.
 
Mi grida che non serve a nulla essersi svegliati e aver capito che l'essenziale è nella terra, non serve a nulla se miliardi di persone non se ne capacitano e mettono in cima ai propri pensieri l'andamento delle borse. Se il denaro resta prezioso scandalosamente più del seme.
 
Non serve a nulla urlare come questo vento se non si penetra come dei babbi Natale in ogni camino e in ogni focolare, se si potesse, se si potesse discendere lungo la cappa presso ogni comunità umana e parlare, parlare a lungo.
 
Se si potesse agire con la rapidità di questo vento, se si fosse impetuosi e non si lasciasse all'avversario economia e potere il tempo di ribattere, oh se potessi avere la costanza di questo vento, se ci si potesse infilare attraverso le porte e le finestre e spegnere tivù  e parlare, un'altra voce, un'altra lingua, verde, possibile.
 
Questa è Cà dell'aria, una casa colonica antica, da qui e da questo poggio ventoso vi ho trasmesso, pochi minuti, la mia comunicazione settembrina, spero questo vento vi abbia scosso, smosso le foglie, aizzato al pensiero, come ha fatto con me.

Teodoro Margarita

Rete Bioregionale Italiana

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