lunedì 4 giugno 2012

Il teatro del Circolo Vegetariano VV.TT... dagli happening di strada a Calcata alle performances effimere di Treia

Performance di Fulgor C. Silvi


Durante la scorsa edizione della Festa dei Precursori, tenuta a Treia dal 5 al 13 maggio 2012, abbiamo vissuto una varietà di eventi: tavole rotonde sull'agricoltura e cultura contadina, mostre d'arte, sessioni di canto rituale, sharing di esperienze di vita, esibizioni poetiche e musicali.. ed ovviamente alcune scenette di teatro d'avanguardia. Si trattava delle performances effimere di Fulgor C. Silvi e di Giancarlo Pucci e Rossella. Parlare di queste performances non è facile trattandosi di espressioni concettuali  simboliche. Essenzialmente si voleva veicolare un messaggio di "rottura" con gli schemi artistici tradizionali, attraverso l'ironia e la "distruzione" delle opere (con spargimento di cocci addosso ai presenti).     
Performance di Giancarlo Pucci e Rossella al Circolo  VV.TT. di Treia


Ma vorrei  qui fare una breve cronistoria di come  è nato il mio interesse per il teatro. Tra le finalità del Circolo vegetariano VV.TT. è scritto: “Scopo dell’associazione è quello di istituire e promuovere simposi naturisti, meditazioni collettive, sessioni di canto rituale, feste spettacoli e giochi all’aperto, passeggiate ecologiche, sperimentazioni di sopravvivenza in luoghi selvaggi, lavoro nei campi, attività artistiche ed artigianali, dimostrando così l’importanza di un’esistenza armonica e piena d’amore”.
Spesso mi sono chiesto come poter attuare un programma così vasto, soprattutto unendo la gioia di esistere al senso del dovere. La mia soluzione prediletta è quella di “vivere teatralmente” ma con la massima sincerità ed allo stesso tempo seguendo l’etichetta.
In questo modo distaccato di agire ho potuto osservare, nel corso di tutti questi anni, come le persone sovente assumano dei comportamenti finti, mettendo in risalto gli aspetti convenienti della propria personalità od oscurandone altri.


Con il mio metodo teatrale, invece, considerando che è tutta una “commedia”, non serve celare le pecche e i difetti, le antipatie e le simpatie (immotivate). E praticando tale filosofia  son vissuto mai nascondendo quel che sono, o meglio la partaccia alla quale sono chiamato in questa vita.


In verità la tendenza a far  teatro è una mia antica passione, sin da bambino piccolissimo ricordo che con le mie sorelline ed amichetti mettevo in scena delle vere e proprie recite inventate lì per lì, melodrammi romantici di cui forse nemmeno noi stessi capivamo il significato, semplicemente scimmiottando quanto osservavamo nel comportamento dei grandi….

Questa vocazione è rimasta per me stabile, è una mia caratteristica che mi consente di divertirmi nelle passioni e nei dispiaceri… purtroppo non piace alla maggior parte della gente con la quale vengo in contatto e spesso amicizie meravigliose o grandi amori svaporano come nebbia al sole della “ragionevolezza” cercata, perseguita e pretesa dagli altri. Peccato che essi non siano in grado di giocare come me al teatro della vita…

E questo “gioco” lo ho vissuto anche nell’esistenza del Circolo ed a questo punto dovrò raccontarvi anche come è nato questo Circolo… Prima di divenire  VV.TT. il circolo era semplicemente V.T. (che significa Vecchi Tufi). A quel tempo, eravamo negli anni ’70 del secolo scorso, l’attività primaria del gruppetto di primi arrivati a Calcata, amici che mi avevano seguito da Roma o che avevo ospitato “in rodaggio” (senza parlare ovviamente del lavoro serio che ancora svolgevamo disciplinatamente a Roma), era il far “teatro di strada”.

Quello era il tempo di una recitazione fantasiosa in mezzo agli ignari radi visitatori o compiacenti vecchi e nuovi residenti. Le recite erano improvvisate e coinvolgenti (come ai tempi della mia infanzia).

Questo render complici gli altri “forzosamente” mi serviva per rompere quel muro di ghiaccio che solitamente si instaura fra persone che non si conoscono, o che stentato a manifestarsi liberamente. In seguito scoprii che nel gergo teatrale questo approccio viene definito “happening” o “psicodramma” ma allora non sapevo che stavamo vivendo un nuovo stile di recitazione, io e gli altri accoliti giocavamo a “rompere le scatole” alla gente, con furbizia e curiosità, studiando le loro reazioni un po’ come facevano gli “amici miei” di Germi (che in diverse scene fu girato  a Calcata).

Ricordo bene alcune nostre sceneggiate di quel tempo beato, recitate al volo nelle viuzze anguste del borgo. Una piece alquanto seriosa fu la messa in scena delle 101 storie Zen che si svolgeva camminando, una specie di excursus spazio temporale su quello che è l’eterno messaggio dello Zen.

Un’altra volta il nostro gruppo, che pian piano andava assumendo le sembianze di una “compagnia teatrale” con tanto di regista, scenografi, addetti alle luci, etc., organizzò una recita all’aperto di poesie demenziali (inventate seduta stante). Al termine della recitazione il falso “fine dicitore” cadeva in deliquio e veniva allontanato da falsi infermieri manicomiali.

La gente che assisteva non riusciva a capire dove fosse il vero od il falso. In un’altra occasione mi inventai una “mostra nel parco, val della Troja” in una grotta (che ora fa parte dello studio dell’architetto Enrico Abenavoli, artista vero e rinomato).

Per attrarre i visitatori nella trappola avevamo allestito un ufficetto all’aperto, in piazza, con tanto di telefono (finto) e segretaria (Patrizia Palla, la genovese), lì venivano rilasciati inviti ad personam per visitare la “mostra” e gli incauti venivano accompagnati da una avvenente e giovane hostess (Mariangela Marrone, la napoletana) che conduceva gli sventurati nella cavità sotterranea (si trova esattamente sotto il Granarone) dove ad attenderli c’erano ipotetici critici, artisti, intellettuali, fotografi e giornalisti (tutti finti, in questo rispecchiando però una verità..) i quali coinvolgevano i malaccorti in situazioni bizzarre o noiose ed allorché essi cercavano di defilarsi venivano bloccati da due energumeni (Zi Tino e Nando di Faleria) i quali dicevano chiaramente che potevano uscire solo se erano disposti a farsi fotografare (a pagamento) assieme alla “mostra” (ovvero Sandra la secca vestita da cavernicola stracciona).

Credo che esistano ancora di queste foto in giro per il mondo….

Ma l’improvvisazione che ricordo con più simpatia, ed in cui sfogai la mia “passione” inventiva (fu anche l’ultima di quella serie fortunata poiché in seguito prese il sopravvento il sistema di regia codificato ed i copioni e tutte le altre scempiaggini classiche), la mettemmo in scena in un antro  vicino al castello (fatalità vuole che oggi sia diventato lo studio artistico di Sofia Minkova,  mia nuora e madre di tre miei nipotini).

Sofia Minkova davanti la famosa cantina, oggi suo studio d'arte a Calcata


Quella fu una vera tragedia “diabolica”, ci lavoravano almeno una dozzina di personaggi. Una coppia di attori, giovani ed alquanto piacenti (un maschio ed una femmina), girava per le vie di Calcata adescando i visitatori. I due figuri, atteggiandosi a pushers od a lenoni dall’aria sordida ed ambigua, sussurravano melliflui ai passanti: “Ehi tu, pss, pss… sì dico a te, vuoi assistere ad una commedia molto particolare…? Aspetta davanti a quella porta… ma zitto, mi raccomando… Pss, pss…”. Veniva così radunato un gruppetto di 5 o 6 persone che poi furtivamente erano introdotte all’interno di una cantina umida e buia.


All’improvviso veniva sprangato l’ingresso dall’interno e qualcuno accendeva una candela (che spesso era spenta da misteriosi soffi di vento), attraverso quella fioca luce venivano illuminate situazioni molto particolari (sospetto che Salvatores si sia ispirato a noi per il suo Nirvana).


Si iniziava con il drogato in una nicchia che dava segni forti di crisi d’astinenza ed all’improvviso prendeva ad urlare ed a contorcersi. Seguiva l’angolo del santone, all’inizio, che pian piano assumeva l’aria libidinosa e prendeva a palpare il culo delle ignare signore presenti. Poi c’era un morto vivente in catalessi e pure un ladro maldestro che tentava di borseggiare gli astanti ed un altro attore che accusava la necessità di soddisfare un impellente bisogno fisiologico e si metteva a pisciare proprio lì davanti a tutti (pisciava per davvero ed ero io a fare quella parte).



Ogni situazione contribuiva inesorabilmente a montare il pathos fra i presenti che si sentivano immersi in una realtà insopportabile, intima, dalla quale non potevano fuggire. I viandanti erano caduti nella trappola mefistofelica e quando disperati si avventuravano verso l’uscita si accorgevano che le porte erano bloccate (attenzione erano bloccate per davvero), alla fine noi stessi facendo sforzi sovrumani e caotici fra urla isteriche (non si apre… non si apre più..!) riuscivamo a spalancarle scardinando i rozzi ed arrugginiti battenti.



Potete immaginarvi la faccia degli astanti quando riuscivano finalmente a mettere il naso fuori… Per loro era il momento della rinascita!



Ecco vi ho raccontato alcune delle “fragranze” della fantasia recitativa che si respirano al Circolo… ma tutto sommato vedo che la gente conserva gelosamente nel proprie cuore queste memorie avventurose…. è il Teatro del VV.TT.



Paolo D'Arpini


Paolo D'Arpini nella parte di Cui Ning

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