lunedì 5 dicembre 2011

Scambio epistolare, tra Lorenzo Merlo e Paolo D'Arpini, sulla capacità della natura e degli esseri viventi di esprimere “spiritualità”


Albero umano



Ed in particolare in riferimento alla nota aggiunta:  È possibile che le piante, e perfino i grandi alberi, manifestino spontaneamente sentimenti ed emozioni, particolarmente la gioia e l'esultanza, agitandosi, fremendo, scuotendo i rami come per battere le mani, il tutto non come reazione ad una presenza umana, ma come movimento spontaneo della loro essenza, della loro personalità. La conseguenza inevitabile che dobbiamo trarre da tali moti spontanei della pianta è che essa costituisce una entità vivente dai confini ben più vasti di quelli che siamo soliti concederle.   .....  Noi crediamo di sapere tutto del mondo della natura. In genere, però - almeno nella prospettiva della scienza occidentale moderna - abbiamo trascurato di considerare la presenza di una dimensione spirituale che, così come si manifesta nell'uomo, indubbiamente è presente in ogni altro ente naturale: animale, vegetale, minerale, acqua ed aria comprese.
Vi è un abete rosso tuttora vivente, in Svezia, la cui età è stata stimata in circa 8.000 anni: ciò significa che era già un grande albero millenario prima ancora che sorgesse l'Impero Romano, prima che Socrate insegnasse a filosofare e prima che Buddha indicasse agli uomini la sua strada per uscire dal dolore e dalla sofferenza. In base a quale folle presunzione possiamo pensare che un organismo vivente superiore, che ha vissuto innumerevoli inverni e primavere, estati ed autunni, abbia condotto una esistenza del tutto cieca e inconsapevole, senza neppure manifestare la felicità di vivere e di poter godere dell'impareggiabile spettacolo di un mondo vivo, rischiarato dalla luce del Sole di giorno, e impreziosito da migliaia di astri brillanti nel cielo notturno? (Francesco Lamendola)

 

Scrive Lorenzo Merlo:

L'attribuzione - in questo caso di spiritualità è forse arbitrio solo di colui che ha consapevolezza di sé. E della possibilità - arbitraria - di dominio sull'altro.
Se il bue non mostra di avere consapevolezza della sua superiorità fisica - almeno secondo i criteri umani - non necessariamente si può dire non ne abbia.
Così per il larice svedese e via dicendo.
Ma isolare la spiritualità è tipicamente logico e meno tipicamente naturale. Attribuire caratteristiche e attributi a qualche parte della natura appare del tutto inopportuno se teniamo presente che tutto ciò che la logica è in grado di elaborare deriva dalla natura, dall'osservazione di questa, dall'esserla... per quanto mediata.
Per queste considerazione attribuire spiritualità al larice svedese non mi sembra opportuno come non lo è attribuire a chiunque sentimenti e sembianze di derivazione umana. Dio (cristiano) docet.

Diversamente, per esempio, il concetto di natura amica dovrebbe essere un concetto condivisibile da tutti noi. Invece, credo, ci fa - giustamente - inorridire.

Investire di umano la natura e le sue espressioni è dovuto a spinte culturali umanizzanti, dalle quali - a mio avviso - è necessario emanciparsi. Diversamente si arriverà facilmente a credere che l'ecocentrismo possa esistere anche senza di noi. E soprattutto, che possa essere realizzato con noi.

La realtà, qualunque, è da noi in poi.

Questo tipo di note le ho già espresse in merito al testo-manifesto, al tempo della sua stesura. Sono state espresse perché le ritengo discriminanti della posizione che si ritiene di poter assumere in merito all'ecologia profonda (e a tanto altro). E sono state espresse perché richieste dai redattori del documento-manifesto. Ma non sono state per nulla tenute in considerazione.

…........

Risposta di Paolo D'Arpini:

Caro Lorenzo, mi piace il tuo approccio estremamente laico...

E non posso fare a meno di concordare con te che la spiritualità è una attribuzione di carattere umano. In quanto, da quanto ne sappiamo, solo l'uomo è in grado di sperimentare coscienza di sè ed intelligenza discriminativa e razionale. Questa capacità possiamo anche definirla "spirito" ...

Allo stesso tempo siccome non esiste cosa su questa terra e nell'universo, che possa dirsi separata -in quanto il tutto contribuisce a manifestare le qualità del "tutto"- e la vita stessa è inscindibile nelle sue varie manifestazioni, manifestando radici comuni in tutte le sue forme, di qualsiasi genere e natura, si può intuire che la caratteristica della "coscienza-intelligenza" sia presente in ogni elemento vivo, che dimostra nascita, crescita e morte, sia pur in diversi gradienti.

Facciamo l'esempio della crescita in "intelligenza e coscienza" da parte dell'uomo. Comunciando dalla sua formazione in quanto unione di spermatozoo ed uovo, passando per la sua fase embrionale, alla formazione completa degli organi, alla fuoriuscita dal grembo, all'inizio della sua capacità di apprendimento e discernimento... attraverso vari momenti evolutivi che -pur apparentementi differenti in qualità- rappresentano comunque una crescita del medesimo soggetto. Se ciò avviene nell'uomo perchè non ipotizzare che possa avvenire in ogni altra forma vitale, pur in una scala differenziata e limiatata? Se accettiamo questa premessa come un presupposto di condivisione della stessa qualità di "coscienza ed intelligenza", ecco che improvvisamente possiamo ricoscere in tutto ciò che è vivo la qualità "spirituale"... Ma ben inteso non in senso religioso... quella è un'assunzione che non ci compete a noi laici ed ecologisti.. No, riconosciamo lo "spirito" in quanto capacità della vita di esprimese se stessa in forme enrgetiche sottili.. e qui possiamo fermarci...

Poi, dal punto di vista poetico ed emozionale, perchè non descrivere la vita di un albero come espressione sprituale della natura? Cosa c'è di male... Innegabilmente l'albero è vivo e si esprime attraverso le sue funzioni biologiche e manifesta desideri e repulsioni, come noi umani, in misure diverse....
Che ne pensi?

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Replica di Lorenzo Merlo:

Ciao Paolo,
le mie note erano dedicate all'impossibilità di ogni descrizione della realtà di non poter che essere solo umana. Solo interessata. E anche solo naturale.

Tentavano di esprimere il principio che la realtà stessa non è se non in nostra presenza.
Non erano in alcun modo un tentativo di sostenere che la natura, la realtà e tutto ciò che - analiticamente (umanamente parlando) - la compone, non possa godere di essenza identica a quella che possiamo attribuire all'uomo.

In questa prospettiva, precisavo che il larice svedese non ha alcuna spiritualità. Ovvero che la spiritualità del larice e di ogni forma della natura non sussiste dalla nostra consapevolezza di essa in poi. Che precisarne la presenza nel larice, e in altro, semmai ne toglie. In un certo senso è arrogante, fuorviante e perfino blasfemo. Un po' come sarebbe definendo le caratteristiche dell'Uno.

Anche per queste derive di certe affermazioni  fatte con semplicità (lo spirito è anche del larice), appoggiate e spinte dal nostro brodo di cultura, articolate cioè secondo un linguaggio inopportuno all'immanenza dell'Uno, anzi, opportuno al mantenimento delle parti, al criterio analitico di osservazione e concezione della realtà, nelle riunioni di ecologia profonda ho proposto che un elemento da trattare avrebbe dovuto essere il linguaggio. E' il suo impiego, l'articolazione del suo glossario, che fanno una semantica piuttosto che un'altra. Che  hanno uno spirito o che vorrebbero averlo. (Ma anche questo aspetto - il linguaggio - non è stato accreditato, ponderato, trattato.)

Whitman, tanto per dirne uno, se parla di alberi o tempeste non ha bisogno di precisarne la natura Una. Le sue espressioni hanno la potenza che anno perché sono espressioni a loro volta della natura Una.

Così , amando Ibrahimovic per le suo prodezze calcistiche, ogni volta che ne elenchiamo le virtù, nel contempo lo riduciamo proprio nella sua spiritualità.

Ecco. A te.

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Replica di Paolo D'Arpini

Caro Lorenzo, è un vero piacere disquisire con te su questi temi, che comportano un'attenta analisi delle forme pensiero espresse. La capacità, o forse la limitazione, dell'intelletto di descrivere la realtà, quella percettibile e quella del pensiero, in modo consequenziale e logico, è un grande vantaggio allorché si voglia estrinsecare un percorso lineare. Il suo uso invece è di poca utilità dovendo affrontare un discorso “olistico” -come è appunto quello dell'ecologia profonda e della spiritualità laica.

Certo possiamo avvicinarci, attraverso un'accorta cernita di “parole e significati”, di concetti ed immagini.. Per questo trovo che il messaggio dei pittogrammi – ideogrammi cinesi sia molto più vicino a quanto tu chiedi alla semantica del linguaggio. C'è un tentativo di trasmettere anche la “visione” anche l'immagine, oltre al pensiero....

Restando a noi... se analizziamo i particolari del percorso vitale dobbiamo necessariamente suddividerli in segmenti e studiarli e descriverli nel loro funzionamento tipico, aldifuori del contesto generale, in quanto compresi nello specifico modo dell'osservatore.... Questo è il dettame della logica e questo è il modo operativo del nostro linguaggio, composto di suoni e allocuzioni, che della logica è espressione. Infatti il linguaggio è un ingranaggio matematico utile, sino ad un certo punto, per descrivere i procedimenti sia della percezione sensoriale che della “fantasia” emozionale. Ma ciò che viene così trasmesso, purtroppo, manca della freschezza e dell'immediatezza dell'esperienza, quella che tu definisci giustamente “presenza”. Infatti il linguaggio attinge solo alla memoria, non può raccontare e convenire l'ineffabile momento vissuto... in quanto “presenza”!

Per fortuna nostra, attraverso la capacità analogica della nostra mente, siamo anche in grado di intuire e lanciare piccoli segnali inerenti la sensibilità “spirituale” che non risiede e non può essere descritta con i meccanismi della mente duale.

L'Uno, come giustamente evidenzi, sfugge ad ogni descrizione... e se una descrizione viene tentata è sicuramente parziale e limitata alle forme proprie del linguaggio e del pensiero duale.

Per capire un pesce devi essere pesce, per sentire un albero devi essere un albero.. etc. Questo è verissimo ed è facilmente accettabile anche dalla mente umana. Il fatto poi che se ci si sente un pesce si è limitati al sentire del pesce, come pure se ci si sente uomo si è limitati al sentire dell'uomo dimostra ulteriormente le tue affermazioni sull'impossibilità di condividere “il concetto” spirituale fra viventi di diversa specie. E fin qui siamo d'accordo...

D'altronde, cosa s'intende nella spiritualità laica? Che spogliandosi dal rivestimento identificativo in un particolare “sentire”, ovvero obliterando la propria identità egoica, la quale non è altro che la cristallizzazione di un riconoscersi in pensieri, desideri, azioni, compiuti dall'”oggetto” che funge da osservatore (il nome forma specifico e la mente individuale), immediatamente -liberi da presupposti identificativi- siamo in grado di pienamente condividere, sentendola come propria, l'esperienza del pesce o dell'albero. Che questa capacità sia non solo possibile ma persino attuabile è comprovato dagli stati altri raggiunti durante la meditazione profonda o per mezzo di forti manipolazione psichiche (trance, deliquio, droga, etc.).

Ovviamente la sporadicità e intermittenza dell'esperienza non duale è solo un “assaggio” della condizione naturale in cui l'uomo ed ogni altro essere condivide pienamente -e perciò manifesta- il Tutto, l'UNO. Lo scopo della spiritualità laica, è quello di conseguire -per mezzo di una ripetuta e continua attenzione al percepiente, quello stato di unitarietà che trascende totalmente l'io individuale e consente l'esperienza spirituale propria e definitiva della vita nella sua interezza.

Allorché, con termini filosofici empirici, gli ecologisti profondi descrivono l'unitarietà della vita, e l'interconnessione di ogni suo aspetto, in ogni sua relazione, essi non fanno altro che evocare quello stato di coscienza, quella Consapevolezza intima e profonda, che contraddistingue ogni ente psichico ed ogni elemento materico (in forma latente). E che a me piace chiamare “spirito” (intelligenza e coscienza).

Questo è il mio sentimento....


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Postilla  di Lorenzo Merlo:

Ciao Paolo,
l'elemento osservato con atteggiamento analitico rischia di perdere la possibilità che abbiamo di riconoscerne invece la sua frattalità, ovvero, la limitezza del piano analitico, soprattutto quando - più o meno consapevolmente - la accreditiamo di verità somma, cioè privata della premessa che la eleverebbe  a ottimo strumento. La premessa che manca sempre, nella nostra cultura, è che la verità analitica può essere somma solo e soltanto entro un ambito definito. Oltre i di cui confini quella sommità diviene miseria. "La realtà è maschera", citato qualche nostra mail trascorsa, alludeva anche a questo. 

Se la frattalità del vero induce a rivedere tutto l'ordinario criterio di ricerca della verità come una sorta di sordida battaglia contro tutti, ci permette quanto meno rispettare l'altro e, parimenti, di sentire il diritto di sopraffarlo, nonché di tornare ad accreditare che "il medium è il messaggio". Cioè che è il linguaggio impiegato a "dimostrare" l'ampiezza dell'orizzonte che siamo in grado di contenere per elaborare le nostre espressioni. Cioè che non è la semplice affermazione che comunica noi siamo in grado di cogliere un certo orizzonte, ma il modo in cui la esprimiamo.

Argomentare in campo aperto sullo "spirito" lascia a mio avviso più rischi di equivoco di quanti non le lasci un suo - per me - sinonimo: energia. Questa, figura in modo meno evanescente di quanto non possa permettersi spirito (parlo delle dinamiche alle quali possiamo assistere nella nostra cultura). Poi, convengo che il cancello c'è anche in questo caso, quando - per metterla in fisica quantistica - dalla sua forma corpuscolare dobbiamo assumerne anche, e contemporaneamente, la verità ondulatoria. 
(Perdona quest'ultimo blocchetto, volevo accennarne ma non sono stato all'altezza di stringerlo in queste poche righe.)

Per piacere ricambiato

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Finalino di Paolo D'Arpini

Sicut erat in princípio et nunc et semper,  et in sæcula sæculórum. Amen

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