giovedì 17 novembre 2011

Treia.. la sua storia tutta in un museo.. - E la tradizione della Grande Madre, di Iside.. e della Madonna Nera

Vista panoramica di Treia



Scrive Alessandro Melchiorri della Proloco di Treia: “Buon giorno, ecco, come promesso, le informazioni dettagliate sul Museo Archeologico di Treia, con incluso il documento con la Storia della Chiesa e del Monastero di Santa Chiara e la Storia della Madonna Nera che vi è custodita all'interno. E' un documento molto ricco e dettagliato, curato dagli studiosi dell'Accademia Georgica: il più preciso e dettagliato resoconto che abbiamo sulla storia della chiesa e della statua della Madonna Nera di Treia..”




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Nel documento sottostante le notizie storiche sulla Madonna Nera di Treia:




Piazza principale di Treia vista da sotto le mura



Ante Scriptum:

Con vero piacere ho ricevuto queste notizie storiche su Treia, in cui si evidenzia l'origine del suo nome Trea (Grande Madre). Ringrazio la Proloco per la collaborazione e spero che le notizie qui riportate possano essere utili anche per il discorso sul matrismo, programmato al Circolo Vegetariano VV.TT., qui a  Treia in Via Sacchette, 15/a, il giorno dedicato alla Santa  Madre, l'8 dicembre 2011. La tavola rotonda segna l'inizio della manifestazione "Vita senza Tempo" che si concluderà il 10 dicembre con la presentazione del libro omonimo, sempre nella sede del Circolo. (P.D'A.)


La manifestazione "Vita senza Tempo" si svolge con il patrocinio morale del Comune e della Proloco di Treia e della Provincia di Macerata

IL MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO

Il museo civico archeologico, inaugurato nel giugno 2004, è allestito presso il convento di San Francesco. Al suo interno sono esposti dei frammenti scultorei, numerose iscrizioni e alcuni reperti egizi di notevole importanza che rendono testimonianza del legame che univa la classica Trea ad alcune civiltà orientali, in particolare, a quella egizia.

L’antica Trea è stata individuata ad 1,5 km dal centro abitato odierno, un’area che corrisponde a quella su cui sorge il santuario del SS. Crocifisso; questa zona ha raccolto il maggiore interesse archeologico da parte di numerosi studiosi, soprattutto per la copiosità dei ritrovamenti. Qui sono venuti alla luce resti di un’area santuariale dedicata alle divinità egizio-orientali di Iside e Serapide1, di cui si fa risalire l’impianto alla metà del II secolo d.C.

All’inizio del XX° secolo, in questa zona, ci furono importanti scoperte: nel 1902 l’antica chiesa del SS. Crocifisso fu seriamente danneggiata da un incendio e successivamente demolita e ricostruita. In questa occorrenza, vennero riportate alla luce le statuette egizie, reperti di notevole importanza che furono murati sulla facciata del campanile del santuario e vi rimasero fino al 1996, data in cui essi furono rimossi, restaurati per poi ottenere la nuova collocazione museale.


IL TERRITORIO DI TREIA DALLA PREISTORIA ALL’ETA’ ROMANA

Le attività di ricognizione ancora in atto da parte del gruppo di lavoro dell’università belga di Gelt hanno sottolineato come, nel territorio di Treia, per quel lungo periodo definito preistoria, la situazione insediativa sia ben più complessa di quello che la documentazione ad oggi disponibile facesse intuire.

Infatti, oltre all’interessante sito neolitico di Santa Maria in Selva, una serie di ritrovamenti di superficie darebbero prova di una frequentazione discretamente articolata anche per l’età del Bronzo, situazione prevedibile per la vicinanza dell’importante sito del bronzo di Monte Francolo di Pollenza e per il rilevante ruolo di nodo viario di collegamento rappresentato da quest’area fra quest’ultimo, quelli di Monte Primo di Pioraco e di Cisterna di Tolentino, rispettivamente sulla vallata del Chienti e del Potenza da un lato e, dall’altro, il sito di Moscosi di Cingoli sul fiume Musone e quelli costieri del Montagnolo di Ancona e di Montatrice di Porto Recanati.

È infatti la viabilità, con il passaggio dall’importante arteria di comunicazione fra l’Adriatico e i passi appenninici, rappresentata dal fondovalle del fiume Potenza, a condizionare la storia del popolamento di questo territorio.

Anche nel periodo noto con il nome di civiltà Picena, malgrado la scarsità di testimonianze, il popolamento si addensa lungo la via di fondovalle e ripercorre il tracciato di quello che diverrà, in epoca romana, il diverticolo della via Flaminia per Picenum Anconam, di quella via, cioè, che, staccandosi dalla consolare Flaminia a Nuceria Camellaria, l’odierna Nocera Umbra, attraversando il Passo del Termine e proseguendo per Dubiae ( di incerta identificazione), Prolaqueum (Pioraco) e attraversando il territorio di Trea per Auximum (Osimo) fino ad Ancona, finì col rappresentare, nell’Antichità, la più veloce via di collegamento fra Adriatico e Roma.

Lo straordinario rinvenimento dei reperti nei livelli più alti di Santa Maria in Selva, attribuibili al IV sec. A.C. e pertinenti a quell’aspetto culturale celto-piceno-etrusco che caratterizzava gli insediamenti a Nord dell’Esino ribadisce l’importanza di questo asse viario in un momento in cui, forse, la più agevole via dall’interno della regione verso il porto di Ancona poteva essere controllata dalle popolazioni celtiche.

IL SITO DI SANTA MARIA IN SELVA

Il sito di Santa Maria in Selva si trova sulla sommità di una collina sulla sinistra del Potenza, nel tratto medio del suo corso. È stato scavato da Delia Lollini della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche negli anni 1961 e 1962.

L’insieme produttivo di S. Maria in Selva pare indicare un contesto culturale del Neolitico recente bene inserito nei circuiti dell’Italia centro-meridionale, caratterizzato da un solido legame con tradizioni più antiche.

Si tratta di tazze e scodelle troncoconiche a pareti rettilinee a profilo rigido, scodelle con anse orizzontali interne con pasticche circolari corrispondenti sulla parete esterna, anse e prese con appendici coniche, vasi globulari in argilla figulina con orlo a collo, decorazioni plastiche circolari e impressioni a puntini su forme composte in argilla figulina.

Altri elementi rimandano ad aspetti culturali occidentali, come l’ansa multipla (detta “a flauto di Pan”), la decorazione graffita o incisa sottilmente disposta internamente in forme aperte, talune forme carenate; o meridionali, come le prese o anse “a rocchetto” tipo Diana o “a tassello” con incisione.

Invece, elementi come le superfici “scabre” e le applicazioni plastiche a cordoni proiettano S.Maria in Selva verso l’eneolitico l’Età del Rame.

Del resto la presenza di frustoli di rame e una lesina in questo metallo sembrano avere la stessa valenza innovativa ed evidenziare i probabili contatti di questo sito con le arie transadriatiche da cui sembra prevalere la metallurgia.

Anche nell’ambito dell’industria litica, S. Maria in Selva mostra la stessa coesistenza di elementi di ambito più antico con altri che sembrano preparare all’Età del Rame.
Forte è anche la presenza d strumenti in osso, si tratta di punte, punteruoli, spatole, scalpelli, aghi.
I cucchiai sono in terracotta.
I resti faunistici permettono di comprendere che l’economia di questo insediamento era basata in prevalenza sull’allevamento dei bovini, mentre la pastorizia e l’allevamento del maiale avevano un’importanza secondaria.
L’attività della filatura è, infine, documentata dalle museruole e dai pesi da telaio.
È importante anche la presenza di intonaci di capanna su cui è stata riconosciuta l’impronta di cereali (orzo e frumento) che ci permettono di capire cosa venisse coltivato.


IL NEOLITICO

Il neolitico rappresenta una tappa fondamentale nella storia dell’uomo, esso indica un cambiamento importantissimo nei modi di vita e una rivoluzione dell’economia e della tecnologia. Tale processo di evoluzione culturale si verifica gradatamente.

Parte dal vicino Oriente e giunge in Italia intorno a 7000 anni fa.
Il profondo mutamento, in primo luogo è determinato dall’addomesticazione e dall’allevamento degli animali e dall’agricoltura: l’uomo diventa da predatore a produttore di cibo.

Le nuove condizioni di approvvigionamento fanno sì che l’uomo si leghi alla terra e che diventi dapprima seminomade e poi sedentario. Nascono i primi villaggi localizzati in aree favorevoli per l’agricoltura e l’allevamento. Allo scopo di creare spazi destinati agli insediamenti, vengono disboscate nuove zone con strumenti quali accette ed asce ottenute dalla levigatura di pietre tenere.

Continua la lavorazione della pietra, in particolare della selce, con la tecnica della tradizione paleolitica della scheggiatura, ma con l’introduzione di nuovi strumenti come le punte di freccia o gli elementi di falcetto.

Continua anche la lavorazione dell’osso, ma anche in questo caso, con nuovi strumenti, ad esempio le vanghette usate per lavorare il terreno.
Resti di fusi e telai testimoniano la presenza sistematica della tessitura.
La capacità di spostamento e di commercio è testimoniata, invece, dalla presenza di materie prime e oggetti in località molto distanti da quelle di produzione, è l’esempio dell’ossidiana proveniente dalle isole Eolie ritrovata nelle Marche.

L’uomo del Neolitico raggiunge un alto livello tecnologico che gli permette di realizzare manufatti innovativi come la ceramica. Essa rappresenta l’indicatore-guida delle diverse fasi cronologiche-culturali del Neolitico. Infatti le differenti caratteristiche dei recipienti in argilla permettono di identificare i vari aspetti culturali e i rapporti che intercorrono fra loro.


IL NEOLITICO NELLE MARCHE

Nelle Marche, la fase più antica del Neolitico è rappresentata da ceramica prevalentemente decorata ad impressioni ottenute sull’argilla fresca premendo o incidendo con dita, unghie, strumenti appuntiti o cannuccia.
I siti più rappresentativi di questa fase sono Maddalena di Muccia e Ripabianca di Monterado. I siti che indicano la fase cronologica successiva sono Fontenoce di Recanati e Villa Panezia di Ascoli Piceno.
L’ultima fase del Neolitico è rappresentata da S. Maria in selva di Treia oltre che dai siti di Monte Tinello di Acquaviva Picena, Coppettella di Jesi, Donatelli di Genga, Saline di Senigallia, Attiggio di Fabriano.



TREIA PICENA

Una necropoli rinvenuta a S. Maria in Selva indizia sul sito una fase di vita databile intorno al IV- III sec. a.C., i secoli che precedono la romanizzazione del territorio.
I reperti emersi dalle tombe documentano un momento particolarmente vivace della storia della città, attestato essenzialmente dalla presenza dei numerosi vasi in ceramica a pasta grigia e di ceramica a vernice nera sia di importazione che di produzione locale, unitamente a ceramica alto-adriatica, anch’essa probabilmente opera di officine del luogo, che consentono sia un’attribuzione cronologica certa del sito, sia di inserirlo in un contesto di centri piceni piuttosto omogeneo, in cui è tangibile la presenza di gruppi celtici.

L’elmo di tipo celto-italico rinvenuto a Treia conferma che la compagine gallica era stanziata in questo territorio con un gruppo di un certo rilievo.

Particolarmente interessante è anche la presenza di alcuni frammenti di ceramica attica, che inseriscono il centro piceno di Treia in un flusso di commerci che, attraverso la vallata del fiume Potenza, confluivano verso i siti della costa, da cui tali oggetti potevano raggiungere l’entrotera.

La ceramica attica indizia inoltre l’agiatezza e i gusti raffinati della committenza, che evidentemente poteva permettersi beni di lusso quali erano i vasi di produzione attica, status symbol privilegiato di una colta committenza.


LE STATUETTE EGIZIE

  1. STATUETTA MASCHILE
La statuetta meglio conservata (mancante soltanto della testa), un tempo collocata nella nicchia di destra del campanile del SS. Crocifisso, è di diorite2e rappresenta un re.
Il personaggio si presenta in modo rigidamente frontale, con la gamba sinistra avanzata, ma in atteggiamento statico, con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati.
L’abbigliamento è costituito da un corto gonnellino (šndyt) formato da due lembi laterali, piuttosto corti sulle cosce, a sottolineare la curata muscolatura delle gambe, e da un pannello centrale più lungo.
Sul capo, la figura indossava, presumibilmente il nms, particolare copricapo, di cui restano soltanto i due lembi che ricadono sulle spalle, ripetendo la linea sinuosa dei muscoli pettorali. La presenza del nms fa si che la figura possa essere identificata come regale.
La datazione di questa statuetta è problematica per la coesistenza di aspetti arcaicizzanti (come la cinta diritta del šndyt, la vita bassa e la profondità dell’addome) e caratteri tipici della tarda età tolemaica (come l’assenza di bipartizione e i muscoli addominali ben in rilievo).


Serapide

  1. STATUETTA FEMMINILE
Nella nicchia di sinistra del campanile del SS. Crocifisso era collocata una statuetta in diorite rappresentante una figura femminile .
La statua acefala manca della zona delle spalle, andata perduta. Ciò rende difficoltosa ed incerta l’identificazione del personaggio, sebbene l’abbigliamento sia tipico di regine o sacerdotesse egizie.
La postura è, anche in questo caso, rigida e frontale. L’abito aderente sottolinea la compattezza del volume e le forme piene: i fianchi sono tondeggianti, l’addome prominente, la vita slanciata e i seni sono geometricamente emisferici, secondo la tradizione egizia.
La gamba sinistra della figura è avanzata, il braccio destro è lungo il rispettivo fianco, mentre il braccio sinistro è ripiegato al petto e la mano sinistra, andata persa, stringeva uno scettro-giglio di cui resta solo un frammento.
Sopra i seni sono visibili frammenti di una parrucca, il cui lembo sinistro è di poco più corto di quello destro.
Le forme morbide e arrotondate della figura sono tipiche dell’era tolemaica.



Statua Egizia

  1. FRAMMENTO DI GAMBA MASCHILE
Il frammento, in origine attribuito alla statuetta femminile, apparterrebbe ad una figura maschile stante ed è identificabile con la gamba sinistra gradiente del personaggio.
La pietra è la grovacca verde e la lavorazione è di ottima qualità.
Le proporzioni della gamba fanno supporre che questa figura femminile fosse maggiore della statuetta acefala rappresentante il re stante.

  1. PICCOLO FRAMMENTO IN GROVACCA
Anche questo frammento era stato attribuito alla statua femminile. La pietra è la grovacca verde.
Si tratta presumibilmente di un frammento di arto, forse un avambraccio.

  1. PIEDE IN PIETRA SCURA
Si tratta di un piede destro appartenente ad una figura stante, con parte del basamento e del pilastro dorsale.
La pietra è più scura e più deteriorata rispetto a quella degli altri reperti: il frammento reca numerose tracce di fuoco, si presume, quindi, che l’esposizione al forte calore sia stata la causa delle spaccature presenti sulla pietra e del danneggiamento delle dita del piede.
Lo studio delle proporzioni dimostra che questa figura era più grande delle altre.

Frammenti architettonici

Nel museo archeologico sono collocati alcuni resti scultorei di carattere privato e pubblico, ma anche di carattere religioso di epoca romana, dall’età augustea a quella adrianeo-antonina.

  1. Sono presenti due teste-ritratto di pregevole tecnica:

  • Una testina di fanciulla con pettinatura alla “ottavia”, composta da una grande treccia centrale e da uno chignon all’altezza della nuca.
La figura presenta alcune abrasioni, in particolare sulla parte inferiore del volto e sulla zona del naso.
Dai lineamenti del viso, rivolto leggermente verso sinistra, dalle guance abbastanza rigonfie e dai piccoli occhi, si è dedotto che la figura rappresenti una fanciulla o una bambina.
L’opera mostra alcuni caratteri tipici dell’età augustea ( per primo la pettinatura) e se si collocasse in questo stadio dell’epoca romana, potrebbe essere definita la più antica fra le statue conservate a Treia.

  • L’altra testa ritrae un personaggio di cui non si conosce l’identità, sebbene alcuni studiosi abbiano ipotizzato che possa trattarsi di un ritratto privato di età traianea che raffigura una delle figure eminenti del municipium.
L’opera presenta varie fratture: la statua è rotta all’altezza del collo, il naso è spezzato, sulla zona della fronte, dell’occhio e del sopracciglio destro, delle guance e delle labbra ci sono molte abrasioni.
L’aggrottarsi delle sopracciglia determina la presenza di due rughe verticali che si estendono dalla zona del naso fino alla bocca e di diverse rughe orizzontali, meno delineate, che solcano la fronte.
Le labbra serrate, invece, elemento comune a tutti i ritratti traianei, giustificano l’esistenza dei due profondi solchi visibili ai lati della bocca.
La resa dei capelli è sommaria, a rilievo molto basso.


7. Nella stessa epoca traianea si colloca una statua togata acefala, alta 1, 45m. e mancante, oltre che della testa, anche dei piedi e delle braccia.
È invece ben conservata la lavorazione del panneggio: esso è semplice e abbastanza rigido, composto da poche pieghe.
Il personaggio si presenta in modo frontale, con la gamba sinistra portante e la destra di poco avanzata.
La presenza del balteus orizzontale e dell’umbo fa in modo che il personaggio possa essere facilmente identificato come magistrato romano.

  1. Nel museo archeologico sono conservati altri due frammenti, inferiori per dimensione:
    • il nodus di una toga;
    • il frammento di una statua femminile, alto 0,88m, che reca un panneggio con pieghe verticali molto scanalate.

Per quanto concerne i frammenti scultorei relativi alle divinità, sono presenti nel museo archeologico una testina di Mercurio, una testina femminile con diadema che potrebbe rappresentare Iside o Artemide e, di particolare rilievo, una testa del Dio Se rapide, di dimensioni superiori rispetto alle altre.


  1. TESTINA DI MERCURIO
Il personaggio è rappresentato con il petaso alato (che permette l’identificazione certa della figura col Dio) leggermente rivolto verso sinistra.
L’opera presenta varie fratture: le sopracciglia sono completamente abrase, il naso è spezzato, la parte inferiore del mento è scheggiata.
Sulla fronte del personaggio sono ben delineati i riccioli che scendono fin sopra gli orecchi.
La fronte è solcata da una profonda ruga, le palpebre sono prolungate oltre lo spigolo esterno dell’occhio.
La cronologia è da riferire tra la fine del I, inizi del II secolo.

  1. TESTINA FEMMINILE CON DIADEMA
Si tratta di una testa dai lineamenti molto idealizzati, che mostra un sorriso appena abbozzato.
Anche quest’opera presenta numerose fratture: la zona del collo è quasi completamente perduta e la punta del naso è spezzata, la superficie è molto consumata.
L’ovale del volto è incorniciato dai capelli folti ed ondulati, suddivisi al centro della fronte e raccolti in un piccolo nodo all’altezza della nuca.
La capigliatura è sormontata da un diadema e la parte posteriore del capo era probabilmente coperta da un velo.
Sia l’identificazione della figura che la datazione dell’opera sono caratteri molto incerti.
Per quanto riguarda l’identificazione con la dea egizia Iside, si può affermare che la figura risulta compatibile con l’iconografia della dea sebbene il Bejor vi abbia riscontrato una certa somiglianza con l’Artemide conservata al Louvre.

11. TESTA DI SERAPIDE
Questa testa in marmo bianco è di dimensioni superiori al naturale (47 cm compresi i 10 cm del modio) e la tecnica di lavorazione è pregevolissima.
La testa è sormontata da un kalathos e si caratterizza per la folta chioma riccioluta rialzata sulla fronte (acconciatura del tipo all’ “Anastolè”) che sembra unirsi in un’unica massa con i riccioli della barba.
L’opera presenta varie fratture: si nota la mancanza del naso e del labbro superiore, inoltre sono evidenti alcune abrasioni che interessano alcune ciocche della barba, la zona intorno all’occhio destro e quella intorno alla bocca.
Da sottolineare l’ampiezza della superficie del volto e degli occhi, la geometricità del volume e l’elevato equilibrio simmetrico.
Le testimonianze del ritrovamento sono poco chiare e, secondo alcuni studiosi, ci sarebbe confusione tra questa testa e un’altra di Giove Capitolino, detto anche “turrito”.


LE ISCRIZIONI

Nel museo archeologico sono conservate alcune iscrizioni provenienti dall’area dell’antica Trea che, oltre a documentare le diverse fasi evolutive della città e del suo territorio, forniscono informazioni importanti su aspetti storici, istituzionali, civili ed anche religiosi riguardanti il municipium.
  1. Due frammenti in particolare contribuiscono a chiarire la questione dei culti diffusi sul territorio:
  • Da un lato una dedica all’Aeternitas Iuventatis Ulpianae Augustae databile al periodo del principato traianeo
  • Dall’altra un frammento di lastra opistografa su cui è leggibile il nome di Minerva.

  1. Una lastra in marmo in tre frammenti (C.I.L IX 5652) ricorda l’atto di Evergetismo sostenuto da una certa Lucretia Sabina che “fece fare a sue spese le condutture d’acqua per la Signora”.3
L’epigrafe sarebbe stata ritrovata nel 1563 nell’area del SS. Crocifisso.
Si è ipotizzato che la Signora sia identificabile con la dea egizia Iside, di conseguenza, il personaggio di Lucretia Sabina si sarebbe occupato della fornitura d’acqua al complesso santuariale di Iside e Serapide, che sorgeva sull’area dove oggi si erge il santuario del SS. Crocifisso.
Dediche simili a questa sono comuni nelle vicinanze dei templi e anche il termine Domina è attestato riguardo la dea egizia.

  1. La vita delle corporazioni è richiamata da un frammento di base calcarea bianca (C.I.L. IX 5653) sulla cui parte anteriore è conservata l’iscrizione in onore di Lucio Nevio Frontone, patrono del municipium e dei collegi dei fabri e dei centonarii.

  1. L’aspetto agricolo è richiamato invece da due frammenti di lastra che ricordano due coloni (affittuari di un fondo): ▪ un frammento di lastra in pietra locale ( C.I.L. IX 5654), ▪ un frammento di calcare bianco (C.I.L. IX 5659).

  1. Numerose iscrizioni sono di carattere funerario e provengono dalla necropoli del municipium.
È ben rappresentata la tipologia degli altari:
  • Un altare in calcare (C.I.L. IX 5661) reca la menzione di due liberti (madre e figlio) della gens Aufidia ( il termine auvidius sulla pietra è da considerare un errore del lapicida).
  • Un altare in marmo (C.I.L. IX 5646) con sovrastante frontone timpanato, decorato ai lati con volute che racchiudono delle roselline e recante, al centro, la raffigurazione di un’aquila.
I lati minori sono architettonicamente delimitati da colonne e lesene corinzie scanalate, con base e cornice uguale alla facciata.
L’altare reca l’epitaffio posto ai genitori di un certo Lucio Ambivio Traiense, un militare di carriera cui si riferisce un’altra lapide conservata nel museo (C.I.L. IX 5647). Essa è costituita da una lastra marmorea spezzata su tre lati che conserva parte del bordo superiore.
  • Un altare in calcare bianco (C.I.L. IX 5666) a forma di parallelepipedo con base lasciata grezza che ricorda il liberto imperiale Hiberus.

  1. Fra le stele rilevanti ricordiamo:
una calcarea frammentaria a edicola recante il ritratto di due defunti, madre e figlio. ( C.I.L. IX 5672)
un’altra in calcare bianco che ricorda il senatore Manio Vibio Balbino, proconsole della Narbonese. (C.I.L. IX 5645)
una stele marmorea di dimensioni assai ridotte e di forma quadrangolare sul cui frontoncino sono ritratti degli uccellini ai lati di un ramoscello. La stele reca un’iscrizione funeraria di Bebio Proculo. (C.I.L IX 5663).
un frammento in marmo spezzato su tre lati di cui resta il bordo destro che reca la menzione di un pretoriano del II secolo. Si tratterebbe della dedica di una madre al figlio (C.I.L. IX 5650).


18. L’iscrizione più recente, risalente al III o IV secolo, è presente su una lastra calcarea, inquadrata da doppio listello. Essa reca l’epitaffio di una donna, Pontia Euplia, il cui marito aveva militato nell’esercito di manovra (comitantes). (C.I.L IX 5649)


Predisposto da Forconi Elisa
Per la Pro Loco



Iside, Dea della Fertilità e della Maternità

 


Note:

1 Iside: Nella mitologia egizia, Dea della fertilità e della maternità. Gli egizi la credevano figlia del dio Keb ("Terra") e della dea Nut ("Cielo"), sorella e sposa di Osiride, giudice dei morti, e madre di Horus, dio del Cielo. Dopo la fine del Regno Nuovo nel IV secolo a.C., il centro del culto di Iside, al suo culmine, era Philae, un'isola sul Nilo in cui le venne dedicato un grande tempio costruito all'epoca della trentesima dinastia. .
Se rapide: nella mitologia greca ed egizia, dio associato a Osiride, Ermes o Ade, adottato nel culto intorno al III secolo a.C. Gli egizi lo consideravano un'incarnazione di Api, toro sacro che dopo la morte fu venerato come Osiride; nella mitologia greca, Serapide era rappresentato sia come un dio della fertilità e della medicina sia come il re dei morti nel Tartaro.
Il suo culto si diffuse in tutto il mondo antico e nell'impero romano, ma declinò con la diffusione del culto di Iside
2 Diorite: nome attribuito a diverse rocce ignee affini, solitamente di colore grigio scuro. Si tratta di rocce cristalline a grana grossa, composte principalmente da silice e ossido di alluminio, ferro, calcio e magnesio. Le più comuni dioriti contengono feldspato plagioclasico e orneblenda, ma molte contengono biotite, quarzo o vari silicati.
3 Lucre[tia] M. f./ Sa[bin]a/ ad aqua [m pe]rducend(am)/ Domina [e fis*tulas s. [p.f]

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