mercoledì 19 ottobre 2011

Esperienze dirette – L’insegnamento spirituale di Ramana Maharshi e la pratica spirituale laica nella vita di ogni giorno…


Recitando una piccola parte...


“I am here to make gurus, not disciples”
(Nisargadatta Maharaj)
Ricordo “quell’odore da ospedale psichiatrico” che vi si respirava ma in realtà era un ospedale in cui recuperare la propria integrità e la coscienza di sé. Basta con le proiezioni mentali, desideri e speranze, solo un’attenzione tersa ed insostituibile diretta all’Io. A quel punto di consapevole presenza che non poteva più essere ignorato. Trascurare l’Io per rincorrere sogni ed immagini da film? Che follia era mai stata quella?

Eppure per i primi 29 anni trascorsi della mia esistenza terrena era accaduto che avessi identificato me stesso con gli eventi vissuti… ed ora, improvvisamente, mi trovavo ad osservare l’incongruità di questo atteggiamento. In seguito l’avrei definito: illusione!

Certo, quell’ashram di Ganeshpuri in cui ero capitato, per dimostrare a qualcuno la mia intelligenza ed il mio valore nell’agire, ora mi restituiva il senso dell’Essere, privo di orpelli… e mi poneva di fronte a me stesso, qual io sono.

Un processo alquanto doloroso, in alcuni momenti di ribellione, un “percorso di guarigione“ che mi sbatteva davanti agli occhi, continuamente e costantemente, la mia pretesa di sentirmi sano, vivo e vegeto, ma in un mondo di matti… Macché non erano gli altri ad essere matti, il folle ero io che mi ero lasciato illudere e trascinare nella trama del film…

Ed in mezzo a tutto quel malessere giocoso eccola lì, la figura totalmente libera del Guru. Quel me stesso perfetto ed intoccabile che mi sorrideva ironico. Da ciò la mia certezza di poter guarire da quello strano male autoassunto.

Insomma, aldilà di ogni mia scelta me ne stavo quieto in quel sanatorio spirituale, con il solo apparente scopo di distruggere il personaggio che premurosamente mi ero costruito addosso negli anni. Sgrullandomi di dosso le paure e i desideri e le speranze di diventare qualcun altro…

A fè mia, in quale compito di guarigione ero incappato.. e senza spiegazione ricevuta, solo una comprensione vagamente intuitiva del come funzionasse la cura, eppure stava accadendo che…

L’unica “consolazione” razionale (per il mio intelletto sconvolto), che mi aiutava a capire il perché fosse necessario togliersi le croste di dosso, la trovai nell’illuminante libro scovato per “caso” nella ex stalla che fungeva da dormitorio, si trattava di “The spiritual teaching of Ramana Maharshi”.

In esso non si parlava di religioni e nemmeno di Dio. Si parlava di cinematografo e di come io mi fossi trasformato da semplice spettatore in uno dei personaggi proiettati nel film.. la descrizione impietosa del mio deludente stato era motivo di esaltazione ed allo stesso tempo di atroci sofferenze.. Avevo sprecato nell’illusione gli anni migliori della mia giovinezza, mi ero trasformato in un cartoon inseguendo l’ipotetica realtà del mondo.. Com’era potuto accadere?

E mentre apprendevo, leggendolo in quel libro che sembrava fatto apposta per me, un ricettario medico senza parafrasi, – scritto in forma semplice e indiscutibile- sul qual’era stata la mia condizione e qual’era la mia vera posizione, ecco che davanti ai miei occhi risplendeva costantemente la forma beata ed intonsa della mia vera natura, era il volto sorridente di Muktananda, la dimostrazione vivente di chi io sono realmente! Nessuna parola scambiata, nessuna istruzione (o quasi), solo i miei occhi sbarrati davanti ai suoi nel riconoscimento della Verità….

Eppure, chissà, se non avessi letto quelle semplici frasi di Ramana Maharshi forse la mia mente non avrebbe accettato il risveglio, forse avrei deciso di essere capitato in una “maison de fous”, in un manicomio, in cui vedevo aggirarsi zombies allucinati e beati, oppure completamente accigliati e tristi.

La pratica senza la teoria oppure la teoria senza la pratica sono deleterie.. ma per fortuna allo Sri Gurudev Ashram di Ganeshpuri convivevano entrambe.

Ma ora vorrei soffermarmi un po’ sulle parole rubate a Ramana e che rispondevano alle mie domande…

Sul silenzio e sulla solitudine.

Domanda: E’ utile il silenzio?
Risposta: Il silenzio interiore è abnegazione e l’abnegazione è vivere senza il senso dell’io (ego).


Domanda: E’ necessaria la solitudine per un cercatore spirituale?
Risposta: La solitudine è nella mente dell’uomo. C’è chi riesce a vivere in mezzo alla gente mantenendo tuttavia la perfetta serenità mentale, un simile individuo è sempre in solitudine


Domanda: Cos’è il silenzio?
Risposta: Quello stato che trascende la parola ed il pensiero è il silenzio. Esso è la Parola Eterna, che s’interrompe con la parola, perché le parole impediscono questo linguaggio muto. Un linguaggio che è continua eloquenza. In quella condizione terminano le parole e prevale il silenzio.


Domanda: Come facciamo allora a comunicare i nostri pensieri al prossimo?
Risposta: Ciò diventa necessario solo quando persiste il senso della dualità.


Domanda: Perché non vai in giro in mezzo alla gente a predicare la Verità?
Risposta: Come fai a sapere che non lo faccio? Predicazione consiste forse nel salire su un pulpito arringando la folla attorno? Predicazione è semplice trasmissione di conoscenza e questa avviene attraverso il silenzio. Cosa pensi di un uomo che ha ascoltato un discorso per ore senza esserne stato impressionato sino al punto di voler cambiare la sua vita. Paragonalo ad un altro che siede in presenza di un saggio e quando se ne va ha modificato completamente la propria concezione di vita. Cosa è meglio? Predicare ad alta voce senza risultati o stare in silenzio facendo emergere la forza interiore? Ed inoltre, come nasce il linguaggio? Esiste una Conoscenza astratta dalla quale si genera il senso dell’io, che a sua volta origina il pensiero ed il pensiero produce la parola. Così la parola sarebbe la pronipote della fonte originaria. Se ritieni che la parola possa produrre degli effetti giudica da te quanto maggiormente possa essere efficace il silenzio interiore. Ma la gente non comprende la pura e semplice verità, la Verità della quotidiana, onnipresente ed eterna esperienza. La Verità appartiene al Sé. Esiste qualcuno che non è consapevole del sé? Ma a questi non piace sentire la verità, mentre sono curiosi di conoscere cosa c’è nell’aldilà, vogliono sapere del paradiso, dell’inferno e della reincarnazione. Poiché amano il mistero e non la Verità.

Perciò le religioni provvedono a soddisfare le loro richieste. Ma alla fine, qualunque sia il percorso adottato, si deve tornare al Sé.
Perché dunque non dimorare nel Sé qui ed ora? Per speculare sull’altro mondo il Sé è necessario e non è differente da questo. Persino l’ignorante (nel senso di illuso dalle forme ritenute come reali e separate) quando percepisce gli oggetti li vede soltanto nel Sé.



Paolo D’Arpini


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Scrive Caterina: “Oggi sembra proprio che tutte le coincidenze si siano messe d'accordo per non farmi muovere, per farmi fermare e ascoltarmi. Prima la dimenticanza della borsa in ufficio che mi ha impedito di andare alla lezione odierna di Yoga, poi, Viola che mi chiede di ascoltarle la lezione di biologia e quindi forse non potrò andare al laboratorio di assaggio di mele antiche di Piero. Fermarsi ed ascoltarsi. Ma chi ascolta chi? E chi dice cosa a chi? Stamattina abbiamo ancora parlato io e te, ancora di Sé, maestri, sguardi. Mi hai raccontato dello sguardo di Muktananda, sornione, l'hai definito. Ma chi era Muktananda? Non era semplicemente una persona, che, in quel momento a un Te che era in un certo modo, con certi pensieri e certe propensioni, in quel momento, ha mostrato quale era il suo vero "essere", lo chiamo io. Oggi, avendo ancora nel mio inconscio le tue parole, uscendo dall'ufficio, ho incontrato due uomini, di nazionalità diversa, uno arabo e uno pakistano o srilankese, ci siamo fissati, prima con uno, poi con l'altro, per una frazione di secondo, non di più. Mi sono sentita come se in quel momento loro avessero potuto capire tutto di me, anzi, "sentire" quello che io sono. Ed io, di riflesso, vedermi, nei loro sguardi. Come quando, tante volte io e te vicini fissiamo i nostri sguardi e non capiamo più dove finisce uno e dove comincia l'altro. E poi si ritorna alla quotidianità, ed allora, al Sé si affianca l'io, con le sue false tendenze, ma a volte, giuro, non capisco più se è l'io o se è il Sé che mi inducono a andare verso una certa direzione o un'altra. Quel che è certo è che sentivo te vicino a me. E che il silenzio è un bel foglio bianco su cui far affiorare tutte le cose. E così, dopo la nostra telefonata, stamattina, ho proseguito a percorrere la strada osservando il paesaggio, quello stesso paesaggio che in primavera mi aveva riempito gli occhi con la meraviglia del verde e dei colori, e da cui avevo raccolto una bella collezione di fiori, oggi brullo, arido, sofferente, soffocato dalla polvere, assetato, sperando in almeno qualche goccia di pioggia. E invece ancora niente...”

Mia rispostina: “Mia Adorata Caterina, riesci sempre a riportare tutto sulla terra. e fai bene, perché siamo tutti la stessa cosa! Non dovremmo mai sentire differenze "di sostanza" fra noi e l'altro... Però, come giustamente tu stessa ti sei interrogata... chi è l'io e chi è il tu?”

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