mercoledì 29 giugno 2011

Andrea Bizzocchi e le radici dell'ecologia profonda


 
La concezione dell’ecologia a cui si fa comunemente riferimento è di matrice totalmente antropocentrica, considera cioè tutto in funzione dell’essere umano.


Questo approccio, profondamente connaturato alla nostra cultura, si propone di salvare la Terra perché “è l’unica casa che abbiamo”, oppure ”per le generazioni future” ecc. Questa visione dell’ecologia può essere definita di superficie, nel senso che non va ad intaccare minimamente le radici del dramma ecologico. E’ espressione della cultura occidentale, dunque con uno spiccato sottofondo materialista e comunque con una netta distinzione fra spirito e materia.

Nonostante si adoperi, ancorché in buona fede, per “salvarla”, l‘ecologia di superficie mantiene fondamentalmente un atteggiamento di sopraffazione nei confronti della Natura che viene considerata un qualcosa al servizio della nostra specie.
La stessa idea dell’espansione, fondamento della cultura occidentale non viene minimamente messa in discussione dall’ecologia di superficie che parla infatti di sviluppo sostenibile. In sostanza l’ecologia di superficie si preoccupa di preservare l’ambiente esclusivamente a beneficio dell’uomo.

Una visione veramente ecologica dell’esistenza, dalle radici molto antiche e non a caso l’unica che non ha mai causato alcun dramma ambientale, parte invece da presupposti diametralmente opposti. E’ conosciuta come “ecologia profonda” anche se io preferisco chiamarla “vera ecologia”, perché l’altra, quella “di superficie”, ecologia non lo è. La vera ecologia dà valore a qualunque entità naturale, vivente e non, che ha dunque pari diritto ad una qualche forma di vita, ad una sua qualche “realizzazione”.

La visione della vera ecologia è dunque a sfondo panteista. L’umanità non “vale” perché speciale ma semplicemente in quanto tale (così come, in quanto tale, “vale” una mucca, un albero, un fiume, il vento). La vera ecologia non vede contrapposizione tra l’essere umano e gli altri viventi e non, e prevede dunque una integrazione non solo fisica ma anche e soprattutto spirituale con l’ambiente di cui facciamo parte. La Vita è ovunque. E’ una visione del mondo a sfondo ecocentrico e non antropocentrico.

Nella visione dell’ecologia di superficie manca completamente la percezione che l’uomo “è Natura” e da qui nasce quella contrapposizione (tra uomo e Natura) che ha dato il là ad una sorta di interpretazione dell’esistenza per cui l’uomo può controllare e manipolare ai propri fini, tutto ciò che umano non è.

In definitiva il dramma ambientale è inevitabile con le premesse culturali dell’Occidente e soprattutto con il potere tecnico che si è dato negli ultimi due secoli (conseguenza inevitabile di tali premesse). Adoperarsi per salvare il pianeta, come fa l’ecologia di superficie, attraverso lo sviluppo delle cosiddette energie alternative, attraverso filtri, depuratori, attraverso la conservazione di qualche foresta qua e là, serve soltanto a prolungare la situazione attuale, probabilmente aggravandola per il persistere dell’idea di crescita permanente nel quale siamo completamente immersi. Idea, che, per sopramercato, con la globalizzazione abbiamo esportato in tutto il pianeta, senza capire che ciò equivale a segare il ramo dell’albero su cui siamo seduti. In definitiva ciò che occorre è un profondo mutamento filosofico.
In questa ottica, l’azione forse più efficace che possiamo compiere, è diffondere informazioni, mettere in dubbio idee preconcette che vengono comunemente accettate in modo acritico solo perché respirate fin dalla nascita, e quindi considerate ovvie, ma imposte di fatto dalla cultura dominante. Molto importante è considerare come degna di valore la vita di tutti gli esseri senzienti. I cambiamenti ecologici portati da un cambio “filosofico” sono meno appariscenti ma molto più efficaci.

A livello pratico ritengo fondamentale impostare la propria vita su principi di semplicità, essenzialità e cooperazione. Ridurre il più possibile i consumi e contestualmente la nostra dipendenza dal sistema appare fondamentale poiché essi rappresentano una delle cause del dramma ecologico (e non solo) e non portano alcun benessere reale.

Andrea Bizzocchi
Rete per l'Ecologia Profonda

martedì 28 giugno 2011

Corrispondenze ed informazioni rurali - Cercasi aiuto in ecovillaggio a Montecalvo Versiggia in cambio di vitto ed alloggio

Montecalvo Versiggia: neonati rurali cercano aiuto....



Cari amici, siamo un'associazione neonata, "12 ratatouille a.p.s.", con sede a Montecalvo Versiggia, tra le colline dell'oltrepo pavese, abbiamo a disposizione circa 10.000 mq di terreno, anche se in molta parte impraticabile in quanto lasciato a bosco incolto.
 
Qualche anno fa un'altra associazione aveva organizzato qui un campeggio estivo per bambini, perciò ci sono già alcune strutture che devono essere rimesse a punto.

C'è una cucina all'aperto, l'impianto elettrico e idrico fino al bosco, forno a legna per pizza, spazio tavoli coperto e piscina. Stiamo cercando di ricreare uno spazio sociale per bambini, ragazzi e adulti (abbiamo anche una sala prove da terminare), ma siamo troppo pochi e il lavoro è molto, quindi vi inviamo una richiesta di aiuto: offriamo vitto e alloggio a chi possa venire ad aiutarci entro il 31 luglio; abbiamo spazio per tende con servizi ed alcuni posti letto presso le nostre case. I lavori necessari sono: pulire il bosco, tagliare l'erba, aggiustare le strutture in legno, ecc.

Nelle nostre intenzioni future c'è anche la creazione di un eco-villaggio. In frazione Michelazza, dove siamo, vi sono alcune case in vendita e chi fosse interessato a lasciare la città...parliamone!

Rimaniamo in attesa di un "segno" da parte vostra, un abbraccio a tutti voi Clara, Davide, Laura, Massimo, Paola ecc.

Numero di telefono di riferimento: Clara 3396594942

lunedì 27 giugno 2011

Treia, 14 luglio 2011 – Simbolica liberazione della Bastiglia, dall’oscuramento mentale, nella luce lunare…


Luglio è un mese in bilico, all’inizio c’è la gentile Capra ed alla fine l’astuta Scimmia. All’inizio il timido Cancro ed alla fine il possente Leone. Differenze maggiori in un solo mese non potevano esserci. La Capra è considerato l’archetipo più femminile, nel sistema cinese, al contrario la Scimmia rappresenta le qualità maschili per antonomasia. Se riuscissero a mettersi d’accordo farebbero una bella coppia….

Come ogni anno il 14 luglio, il Circolo vegetariano VV.TT. , ricorda la Presa della Bastiglia, in chiave Zen: “Oppidum obscuratae mentis” è chiamata la manifestazione. Come diceva Andrè Breton: “La rivolta, solo la rivolta crea la luce… e la luce non può avere che tre vie: la poesia, la libertà e l’amore…”

Cercando questa libertà e questo amore tenteremo di ri-conquistare l’autonomia intellettuale, salvandola dagli oscuri disegni maligni e speculativi in atto. Ma non lo faremo con una assalto bieco e violento, bensì con le armi della riflessione e della contemplazione. Aiutati in ciò dall’incipiente luna piena, che a luglio –si sa- è particolarmente potente….

Per restare laicamente nell’animo evocato da questi eventi si incontrano a Treia,  nella sede del  Circolo,  i ricercatori e si confrontano sulla loro comprensione dello Spirito, come avveniva nei monasteri Zen in cui vigeva la consuetudine per cui poteva essere accolto solo chi era in grado di superare una prova….

Nei tarocchi a questa stagione è dedicato l’arcano lunare. La Luna è una delle carte più misteriose e suggestive. In essa si vede l’aspirazione umana di collegare le cose che stanno in alto con le cose terrene, mediante una comprensione simultanea. L’intuizione del Cancro.

“Consegnamo il mondo in uno stato dignitoso alle generazioni future” (K. Ludwing Schibel)

Paolo D’Arpini

Appuntamento:  Ore 19.00  – Al Circolo Vegetariano VV.TT. in Via  delle Sacchette 15/a – Treia.  Discesa alla fonte sorgiva  di  Porta Mentana,  aspersione nelle fresche acque e raccolta del sacro liquido. Al ritorno condivisione di esperienze, dialogo, poesie, canti sacri. Segue condivisione del cibo vegetariano da ognuno portato.

Prenotazioni: 0733/216293 – circolo.vegetariano@libero.it 

domenica 26 giugno 2011

Fine del matriarcato ed inizio dell’età dei conflitti - Riflessioni sul disfacimento morale e sociale nel rapporto maschile-femminile in vista dell’esaurimento del Kali Yuga


Fine del matriarcato ed inizio dell’età dei conflitti - Riflessioni sul disfacimento morale e sociale nel rapporto maschile-femminile in vista  dell’esaurimento del Kali Yuga

Dobbiamo partire da una notizia di cronaca recentissima in cui si indicano i paesi che si affacciano sull’oceano indiano (Pakistan, India, Somalia, ecc.) come i luoghi in cui maggiormente la donna soffre  di persecuzione e violenza. Ciò fa pensare e riflettere sull’inversione di tendenza nel rapporto maschile-femminile che proprio in questa area  vide  la nascita della parità dei generi e del rispetto verso il femmineo. Infatti, verosimilmente, sia sulle coste dell’Africa che nell’India pre-ariana, il matrismo originario sorse e prosperò.

Ma oggi osserviamo che il cambiamento nelle relazioni fra il maschile ed il femminile può essere considerato un termometro per misurare il decorso della malattia nella specie umana. Tale malattia prese origine con l’avvento dell’era oscura, definita in India Kali Yuga, che si fa risalire a circa 5000 anni fa. L’inizio di qust’era, che corrisponde al termine della guerra descritta nel Mahabarata, diede avvio ad un lento processo di degrado che portò la società egualitaria e sacrale, fino allora vigente in quasi tutto il mondo conosciuto, a deteriorarsi sotto l’influsso sempre più pressante del patriarcato e dell’avvalorazione del senso del possesso.

In Europa quello stesso periodo, definito  tardo neolitico, descritto con dovizia di particolari  dalla studiosa ed archeologa Marija  Gimbutas  si concluse con   l’affermarsi del potere maschile esercitato con la violenza e con la perdita della libertà femminile (tramite l’acquisto della donna a scopo riproduttivo, guerre di razzia, perpetuazione della patrilinearità, etc.). Contemporaneamente abbiamo notizia di simili eventi accaduti anche nell’antica civiltà cinese, ove  prese il sopravvento il modello prevaricatorio e controllativo del mondo femminile. Tale momento viene anche evocato nel Libro dei Mutamenti relativamente alla descrizione dell’esagramma “Il farsi Incontro” in cui si immagina il femminile che spontaneamente va incontro al maschile e di conseguenza ne riceve un giudizio negativo. Allo stesso tempo, nella lettura dei commenti, si evince che questo “farsi incontro” rappresentava il modo di funzionamento antecedente nella società. Tale mutazione nello stile dei rapporti intergenerici (uomo-donna) è stato considerato l’inizio dell’era dei conflitti  (traduzione corretta del significato di Kali Yuga) e chiude la precedente era dell’incertezza (Dvapara Yuga).

Ora dobbiamo esaminare come gli antichi saggi accuratamente descrissero le caratteristiche dell’era corrente evocando una serie di avvenimenti e tendenze che sono facilmente riconoscibili in questo momento storico.  Senza voler evocare calendari Maya o altre descrizioni apocalittiche più o meno credibili, riportiamo, in ogni caso, alcune affermazioni storiche certificate, vecchie  di migliaia di anni.

“Trovandosi immersi nell’ignoranza, sicuri di sé, ritenendosi saggi, gli sciocchi si aggirano urtandosi a vicenda, come ciechi guidati da un cieco” (Mundaka Upanishad)

“Ora difatti è proprio l’età del ferro, né mai gli uomini cesseranno di soffrire il giorno, per le fatiche e le miserie, e la notte di struggersi per le gravi angosce che gli dei gli daranno. Né allora il padre sarà simile ai figli, né i figli al padre, né l’ospite sarà caro all’ospite, l’amico all’amico, il fratell al fratello come nel tempo passato. Essi avranno in dispregio i genitori, appena cominceranno ad invecchiare, li insulteranno con parole villane; né essi, ai genitori invecchiati, daranno il necessario per vivere, usando il diritto del più forte; infine saccheggeranno a vicenda le città. E allora non vi sarà più gratitudine per l’uomo giusto, ma piuttosto si terrà in onore l’uomo artefice di mali, la giustizia sarà nelle sue mani; il pudore non esisterà più. Il malvagio recherà danno all’uomo dabbene, agli uomini miseri sarà compagna la gelosia, amante del male dall’odioso aspetto… e non ci sarà più scampo dal male” (Esiodo, Opere e giorni).

Nel Linga Purana, antico testo Shivaita,  vengono descritti gli uomini del Kali Yuga come tormentati dall’invidia, irritabili, settari, indifferenti alle conseguenze dei loro atti. Sono minacciati da malattie, da fame, da paura e da terribili calamità naturali. I loro desideri sono mal orientati, la loro scienza è usata per fini malefici. Sono disonesti.
In questo tempo sono in declino i nobili e gli agricoltori mentre la classe servile pretende di governare e di condividere con i letterati il sapere, i pasti, le sedie e i letti. I capi di stato sono per lo più di infima origine. Sono dittatori e tiranni.

“Si uccidono i feti e gli eroi. Gli operai vogliono avere ruoli intellettuali. I ladri diventano Re, le donne virtuose sono rare. La promiscuità si diffonde. La terra non produce quasi nulla in certi posti e molto in altri. I potenti si appropriano dei beni pubblici e cessano di proteggere il popolo. Sapienti di bassa lega sono onorati e partecipano a persone indegne i pericolosi segreti delle scienze. I maestri si degradano vendendo il sapere. Molti trovano rifugio nella vita errante.

“Verso la fine dello yuga gli animali diventano violenti (perché sfruttati n.d.r.).
Gli uomini dabbene si ritirano dalla vita pubblica. Anche i sacramenti e la religione sono in vendita. I mercanti disonesti. Sempre più numerose le persone che mendicano o cercano lavoro. Quasi tutti usano un linguaggio volgare e che non tiene fede alla parola data. Individui preminenti senza moralità predicano agli altri la virtù. Regna la censura… Nelle città si formano associazioni criminali. L’acqua potabile mancherà, così pure la frutta. Gli uomini perdereanno il senso dei valori. Avranno mali al ventre, ed  i capelli in disordine. Verso la fine dello yuga l’aspettativa di vita non andrà oltre l’adolescenza,. I ladri deruberanno i ladri. Molti diverranno letargici e intorpiditi, le malattie saranno contagiose. Topi, serpenti e insetti tormenteranno gli uomini. Uomini affamati e impauriti si troveranno nei pressi del fiume Kausichi.
Alla fine di questa era un po’ ovunque nel mondo si diffonderanno i praticanti di riti sviati. Persone non qualificate si spacceranno da esperti. Gli uomini si uccideranno l’un l’altro e uccideranno i bambini, le donne e gli animali. I saggi saranno condannati a morte”.

Tuttavia, ancora secondo il Linga Purana, alcuni uomini potranno raggiungere in breve tempo la perfezione. In un certo senso il Kali Yuga è un periodo privilegiato. I primissimi uomini delle ere antecedenti, ancora prossimi al divino, erano saggi in una società di saggi. Ma gli ultimi uomini, questi del Kali-yuga, avvicinandosi all’annientamento, si avvicinano anche al principio in cui tutto ritorna alla sua fine. In mezzo alla decadenza morale, alle ingiustizie, alle guerre, ai conflitti sociali e alla persecuzione del femmineo, che caratterizzano la fine di questo yuga, il contatto con il divino, per via discendente, diviene più immediato.

In una società dove tutto è già perfetto, gli atti vengono compiuti automaticamente nel bene, mentre in una società degradata occorre discriminazione e coraggio.
Troviamo descrizioni di una tale fine di un’epoca persino in testi apocalittici giudeo-cristiani, compreso quello di S. Giovanni,  che evidentemente si ispirano alle stesse fonti antiche sopra menzionate.

In uno Shiva Purana, nel Rudra Samhita, di molto precedente l’epoca cristiana, viene detto: “La fine del mondo attuale sarà provocata da un fuoco sottomarino, nato da un’esplosione simile a quella di un vulcano, che consumerà l’acqua che i fiumi hanno riversato nell’oceano. L’acqua traboccherà dall’oceano e inonderà la terra. Il mondo intero sarà sommerso”.

Abbiamo visto che, tra i fenomeni caratteristici del Kali Yuga troviamo la comparsa di false religioni antropocentriche che allontanano l’uomo dal suo ruolo sulla Terra e servono di pretesto alle sue predazioni, ai suoi genocidi, e lo portano infine al suicidio collettivo. Le religioni della città prendono il sopravvento sulla religione della Natura, questo è l’inizio della decadenza, che   corrisponde all’affermarsi  delle religioni monoteiste. Si trattava di creare delle fedi illusorie che pervertissero la vera religione della Natura. Ad esempio la creazione di queste nuove religioni (o ideologie) è avvenuta in India nella forma del giainismo e del buddismo, in Cina in forma di confucianesimo e in occidente come cristianesimo e nel medio oriente come islamismo.

Queste religioni, quali che siano stati il carattere e le intenzioni dei fondatori originari, sono diventate essenzialmente religioni “di stato”, a carattere moralistico. Hanno dato modo a un potere patriarcale centralizzato di imporre un elemento di unificazione e controllo su   popolazioni diverse. Ovunque, queste religioni, pur parlando di amore, uguaglianza, carità, giustizia, sono invero pretesto e strumento per conquiste culturali e materiali. Il massacro delle popolazioni avvenuto in varie parti del mondo in mome delle religione, è un dato storico innegabile.

La posizione della donna in tutte queste religioni è secondaria e perciò giustifica l’oppressione di genere. Se e quando il femmineo sacro e la spiritualità della Natura riusciranno a trovare un autonomo e sincero modo espressivo nella nostra società, l’era oscura, e dei conflitti,  potrà considerarsi conclusa.

Paolo D’Arpini

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Commento di Caterina Regazzi:

In un’epoca in cui tutti si sciacquano la bocca parlando di Amore, semplicità, ritorno alla Natura, le donne devono solo continuare ad essere e a fare quello che, silenziosamente, sono state ed hanno fatto in tutti questi secoli oscuri: esseri dedite a dare la vita, a custodirla, a coltivarla e a farla crescere; dare amore, affetto e amicizia  incondizionati.

Basterebbe che gli uomini prendessero esempio da noi donne rivalutando pienamente il periodo del matriarcato: niente guerre e distruzione, solo cura di sé, degli altri esseri viventi, umani e non, in una parola, della Vita.
Le donne, però, non devono farsi imbrogliare dal mito del potere e dell’autonomia personale, smettendo di copiare il maschio nel suo stile competitivo, nella ricerca dell’affermazione di sé.  

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Bibliografia:

Mahābhārata – Sri Veda Vyasa
I Ching – Libro dei Mutamenti (AA.VV.)
Shiva e Dioniso, di Alain Danielou
Il Linguaggio della Dea - Marija Gimbutas
Opere e giorni - Esiodo
Shiva Purana, Rudra Samhita, Linga Purana – Antichi testi Shivaiti
Mundaka Upanishad - Vedanta

sabato 25 giugno 2011

Vegetarismo e Bioregionalismo - L'impatto degli allevamenti industriali sull'ambiente


"Asino che guarda oltre la prigione"  Foto di Gustavo Piccinini

Ecco diversi pareri di  veterinari ASL  sulle conseguenze della produzione industriale di carne in Italia e nel mondo:

Il sistema industriale di produzione carne non è sostenibile, tutta la filiera minaccia di implodere. Aumento di produzione, innalzamento dei costi, abbassamento dei ricavi sono temi noti da tempo. Collegare il reale impatto ambientale con il costo di un prodotto, carne bovina o uova o altro, è un approccio nuovo che potrebbe aiutare a lanciare le filiere etiche… (Giulia)

Consiglio la lettura, a questo proposito, di un articolo pubblicato su Le scienze dal titolo: “Hamburger a effetto serra”, in cui l’autore analizza l’impatto ambientale dell’allevamento bovino; un unico dato: produrre la quantità di carne bovina consumata annualamente dallo statunitense medio genera la stessa quantità di gas serra prodotta da un’auto guidata per quasi 3000 chilometri. (Raffaele)

In Italia siamo 60 milioni di abitanti e consumiamo circa un centinaio di chili di carne a testa, per lo più come in Europa e negli Stati Uniti. E così per soddisfare i nostri appetiti macelliamo circa 500 milioni di polli all’anno, 4 milioni di bovini e 13 milioni di suini, ma siccome non ci bastano il resto lo importiamo. Ma sul pianeta Terra viviamo in 6 miliardi e mezzo e gia’ adesso in molti muoiono di fame, altri che la carne la vorrebbero ma non possono permettersela. Tra qualche anno diventeremo 10 miliardi, si potrà produrre carne per tutti? C’è chi dice che sarebbe il suicidio del pianeta. Fao, Onu, Ipcc avvertono che il 18% dei gas serra che alimentano i cambiamenti climatici sono frutto degli allevamenti, che battono tutte le altre attività umane, comprese le emissioni dell’intero parco auto del pianeta. Per produrre un chilo di carne di bovino si consumano 15.000 litri di acqua e cereali per dieci volte il peso dell’intero animale – cereali che potrebbero sfamare molte piu’ persone – Non basta. Più della metà degli antibiotici prodotti sono usati per uso zootecnico. Le malattie negli allevamenti intensivi aumentano, ma poi aumentano anche ceppi di batteri resistenti agli antibiotici e le malattie umane da benessere come le patologie coronariche, il diabete, l’obesità che derivano anche da eccessivo consumo di alimenti animali. Senza contare il problema della montagna di liquami ed escrementi che inquinano le acque e non sappiamo più dove mettere. Il paradosso è che più si produce carne a basso costo, grazie a questo modello di allevamento industrializzato, e più aumentano i costi per l’ambiente, e l’agricoltura è la prima vittima di un paradigma economico che non regge più. Eppure le soluzioni ci sarebbero, andrebbero però attuate subito, prima che sia troppo tardi. (Marco)

La consistenza tecnica di questi pareri avvalora e giustifica la scelta vegetariana anche in termini di ecologia, sia nell’aspetto dell’ecologia fisiologica del corpo umano che quella ambientale del pianeta. Senza una svolta radicale nel sistema alimentare difficilmente la specie umana potrà sopravvivere all’olocausto annunciato.

Di questo argomento se ne è ampiamente discusso  durante il 17° incontro della Rete Bioregionale Italiana tenuto il 18 e 19 giugno u.s. a Ospitaletto di Marano (Emilia) in piena zona di produzione lattiera e di carne da macello.

(Resoconto: http://retebioregionale.ilcannocchiale.it/2011/06/24/resoconto_e_significato_del_17.html)

Paolo D’Arpini
Referente P.R. Rete Bioregionale Italiana



 Alcuni dei partecipanti all'incontro bioregionale di Ospitaletto di Marano (Modena) - 19 giugno 2011

venerdì 24 giugno 2011

Francesco Lamendola: "Se il progresso diventa superstizione e ideologia" - Tristi note sul paradigma scientifico moderno

Credere nel progresso è un atto di fede


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La modernità vive all’ombra di una speciale religione e la vive con fervore e con abbandono straordinari: la religione del progresso

Da quando i protagonisti della cosiddetta Rivoluzione scientifica, prima, e i libertini e gli illuministi, poi, hanno operato il cambio di paradigma della civiltà occidentale e sostituito il culto della ragione umana a quello di un Dio trascendente (esattamente ciò contro cui metteva in guardia Dante Alighieri con l’apologo del “folle volo” di Ulisse), l’ideologia del progresso illimitato ha assunto via via i caratteri di una vera e propria nuova religione.

Il Pensiero Unico oggi dominante ha cercato di dissimulare questo fatto, presentando la marcia trionfale del Progresso come un atto di emancipazione della ragione umana da ogni forma di fideismo e di superstizione; ma non ha potuto, né potrebbe, nascondere la vera essenza di quel movimento dello spirito occidentale, vale a dire l’abbandono cieco ad una verità non dimostrata e non dimostrabile, quale è appunto l’idea di progresso.

Se, infatti, si domanda ai volonterosi seguaci della nuova religione in che cosa si distinguerebbe, dal punto d vista critico, la moderna fede nel progresso dall’antica fede in un ordine soprannaturale, questi non sanno che rispondere e si limitano, tutt’al più, a sbandierare i supposti trionfi della scienza e della tecnica, sostenendo che essi sono qualcosa di reale e di efficace, a differenza delle antiche credenze religiose.

Si tratta però, a ben guardare, di una argomentazione decisamente misera: un paradigma culturale non può giudicare un altro paradigma, perché muove da presupposti totalmente diversi: perciò, il moderno meteorologo che procura la pioggia artificiale con i cristalli di ioduro d’argento dovrebbe levarsi quel sogghigno dalla faccia, quando gli si parla della danza della pioggia da parte dello stregone di un villaggio degli indiani hopi.

In un paradigma olistico e spirituale, tutte le cose sono legate l’una all’altra e la forza di un rito magico-religioso per ottenere la pioggia possiede la stessa dignità culturale di un intervento specialistico basato sulla chimica; anzi, a nostro avviso, semmai possiede una dignità maggiore, almeno dal punto di vista sociale, dato che si basa sul coinvolgimento solidale di tutte le energie psichiche e spirituali del gruppo in una questione di interesse collettivo, e ciò in una prospettiva di interdipendenza fra mondo visibile e mondo invisibile; mentre, nell’altro caso, tutto si riduce all’azione mirata di pochi tecnici, che agiscono manipolando metodologie sconosciute alla grande massa della popolazione e che potrebbero essere usate tanto per il bene, quanto per il male, dal momento che non esistono forme di bilanciamento al loro potere decisionale.

Quanto ai risultati, è tutto da vedere se la danza della pioggia degli hopi produca risultati minori della moderna tecnica della pioggia artificiale; e la stessa cosa vale, ad esempio, in un confronto tra i risultati della medicina occidentale moderna, basati sui farmaci chimici e sulla chirurgia, e quelli delle medicine tradizionali, basati sulle sostanze naturali e sul coinvolgimento dei fattori spirituali e religiosi sia da parte del malato, sia dell’intera comunità che partecipa ai riti di guarigione.

In conclusione: credere nell’uno o nell’altro sistema per favorire la pioggia in tempi di siccità, così come credere nell’uno o nell’altro metodo per curare un individuo colpito dalla malattia, è un fatto di fede, puramente e semplicemente: e non vi è alcuna ragione intrinseca per affermare che un metodo sia migliore dell’altro o preferibile in assoluto; bensì vi sono soltanto delle ragioni estrinseche: quelle del paradigma che crede se stesso più forte, più vero, più capace di manipolare la realtà a proprio talento.

In altre parole, è solo l’arroganza della modernità che induce i membri della nostra cultura a sopravvalutare ogni nuovo risultato della scienza e della tecnica e a disprezzare i risultati conseguiti, nel campo della conoscenza così come in quello pratico, all’interno dei paradigmi pre-moderni.

Ritenere che la malattia di un organismo sia il prodotto di una aggressione virale o microbica, oppure di una aggressione degli spiriti maligni, è solo e unicamente una questione di preferenze soggettive; e, quanto ai risultati, è vero che la medicina occidentale moderna ne ha ottenuti di grandi, ma è altrettanto vero che essa ha introdotto nuove malattie in luogo di quelle sconfitte (le malattie iatrogene e quelle collaterali), fondamentalmente perché, nel suo riduzionismo, non ha saputo vedere nel soggetto malato una unità psico-fisica, ma soltanto una somma di organi slegati, in omaggio al dualismo cartesiano di “res extensa” e “res cogitans”.

La medicina delle culture pre-moderne era essenzialmente una medicina preventiva, basata su regole dietetiche, su stili di vita, su una stretta correlazione tra uomo e ambiente, tra corpo e spirito: e, pertanto, i suoi risultati dovrebbero essere valutati con un criterio diverso da quello odierno: non in base al numero delle guarigioni di individui ammalati, ma dal numero di individui che riuscivano a conservare un buon grado di salute naturale per gran parte della loro vita, arrivando spesso ad una vecchiaia inoltrata e con un grado invidiabile di salute fisica e mentale (mentre noi abbiamo allungato i tempi della vita media, ma non della vita in assoluto, né, tanto meno, la sua qualità).


Il progresso, dunque, è un atto di fede; una nuova religione sorta alle soglie della Rivoluzione industriale e basata su tre postulati indimostrabili: primo, che il progresso esista; secondo, che sia possibile, alla società umana, perseguirlo in misura sempre maggiore e più completa; terzo, che ciò porterà automaticamente la felicità, o quanto meno il benessere, agli esseri umani.
Il primo punto è indimostrabile perché, per sostenere che il progresso esiste, bisognerebbe sapere se la strada che stiamo percorrendo è effettivamente quella del progresso, ovvero che sviluppo e progresso coincidono; ma la verità è che non lo sappiamo.

Affermare il contrario sarebbe come dire che qualunque movimento in avanti è, di per sé, un bene: il che è manifestamente falso. Se ci trovassimo in vicinanza di un precipizio, il nostro andare avanti non sarebbe altro che una marcia verso la catastrofe.

Inoltre, il concetto di progresso è troppo generico e troppo quantitativo: bisognerebbe vedere se sia vero che ogni progresso corrisponde ad un movimento positivo della società: ma non è affatto semplice definire cosa sia positivo; senza contare che alcune cose possono essere positive per il gruppo, ma negative per il singolo individuo, e viceversa.

Per fare un esempio molto semplice, ma tutt’altro che banale: gli effetti sconvolgenti del talidomide hanno permesso di capire che quel farmaco era estremamente dannoso per i nascituri e, quindi, di sospenderne la somministrazione alle donne in stato di gravidanza: e questo si può considerare un progresso della medicina; ma bisognerebbe chiedere di che opinione sono in proposito i bambini nati con gravi deformazioni, che hanno svolto il ruolo di cavie inconsapevoli, nonché i loro genitori.
Anche il secondo e il terzo punto sono indimostrabili: nessuno può dire se la via del progresso, quand’anche fosse quella giusta, sia percorribile indefinitamente o se, arrivati ad un certo punto, ci si troverà davanti a un muro; inoltre, niente dimostra che vi sia una relazione diretta e inequivocabile fra il progresso e la felicità, e nemmeno fra il progresso e il benessere.

Tutto dipende da come si definisce il progresso: ed è significativo che i suoi più accesi sostenitori non si siano mai dati la pena di darne una definizione.
Se lo si  definisce in senso prevalentemente quantitativo, allora la produzione di energia atomica nelle centrali nucleari giapponesi è stata un progresso per quel Paese; se, viceversa, si pensa agli effetti dell’incidente alla centrale di Fukushima, in conseguenza del terremoto che ha investito quella regione e del conseguente maremoto, allora il giudizio cambia radicalmente.

Scrive John B. Bury nella sua ormai classica «Storia dell’idea di progresso» (titolo originale: «The Idea of Progress. An Inquiry into its Origin and Growth», London, Macmillan Company, 1932; traduzione italiana di Vittorio Di Giuro, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 18-19): «… Alla mente dei più, un esito desiderabile dello sviluppo umano sarebbe una condizione sociale di perfetta felicità per tutti  gli abitanti del pianeta. Ma è impossibile avere la certezza che la civiltà si stia muovendo nella giusta direzione per realizzare questa aspirazione. Certi aspetti del “progresso” sembrano positivi, ma ad essi se ne contrappongono altri che dimostrano, nella prospettiva di una crescente felicità, come la civiltà abbia tendenze tutt’altro che auspicabili. In breve, non si può dimostrare che l’ignota meta verso cui l’uomo sta avanzando sia quella desiderabile. Può darsi che il movimento sia progresso, ma può anche darsi che indirizzato verso una meta non auspicabile,  non sia progresso. Questo è un problema a sé, un problema attualmente insolubile come quello dell’immortalità dell’anima. È un problema che si riferisce al mistero dell’esistenza.

Inoltre, anche ammesso come probabile che finora la civiltà si sia mossa in una direzione desiderabile, capace di portare tutti gli uomini alla meta ultima della felicità, non è possibile dimostrare che raggiungerla dipende solo dalla volontà umana. A un certo punto, un muro invalicabile potrebbe fermare la marcia.  Si prenda in particolare il caso della conoscenza, per la quale si ammette senz’altro che la continuità del progresso  nel futuro dipende interamente dalla continuità degli sforzi umani (purché i cervelli non degenerino).  Il postulato si basa su una esperienza molto limitata. 

Negli ultimi tre o quattrocento anni la scienza ha fatto continui progressi: ogni nuova scoperta ha portato nuovi problemi e nuovi metodi di soluzione, e ha aperto all’indagine nuovi campi. Finora gli scienziati non sono stati costretti a fermarsi, e hanno trovato nuovi mezzi per avanzare. Ma chi ci assicura che un giorno non vengano a trovarsi di fronte a barriere insuperabili? L’esperienza di quattrocento anni, in cui si è riusciti a saggiare con successo la superficie della natura, non permette di arrivare a conclusioni di sorta nella prospettiva di operazioni che si estendano per altri quattrocento o quattromila secoli.  Se considerino la biologia o l’astronomia: come esser sicuri che un giorno il progresso non arrivi a un punto morto, non per l’esaurimento delle nostre risorse di indagine - ma perché, ad esempio, gli strumenti scientifici saranno arrivati a una massima perfezione che si dimostrerà insuperabile, o perché (nel caso dell’astronomia)  cui si troverà in cospetto di forze delle quali, a differenza della gravitazione, non si ha esperienza sulla Terra?

Affermare che non esiste, nella conoscenza della natura, un limite che l’intelletto umano non è qualificato a superare, è un postulato la cui verità non può essere dimostrata.
Ma è proprio questo postulato a illuminare e ispirare la ricerca ascientifica, se esso fosse falso, non si potrebbe mai giungere in vista della meta che è, ne caso delle scienze naturali, una conoscenza del cosmo e dei processi della natura, se non completa, almeno immensamente più vasta e profonda di quella attuale.

Perciò il continuo progredire dell’uomo nella conoscenza del suo ambiente, che è una delle principali condizioni del progresso generale, è un’ipotesi che potrebbe essere e non essere vera. E se è vera, resta ancora da verificare la ulteriore ipotesi della “perfettibilità” morale e sociale dell’uomo, che si appoggia su prove assai meno evidenti.

Niente dimostra che l’uomo non raggiungerà mai uno stadio di sviluppo psichico e sociale in cui le condizioni dell’esistenza saranno ancora ben lungi dall’essere soddisfacenti,  ma oltre il quale sarà impossibile progredire.

È un problema che tocca il mistero dell’esistenza.

Quanto si è detto basta a dimostrare che l’idea del progresso umano appartiene allo stesso ordine di idee al quale appartengono quelle di provvidenza e della immortalità dell’anima. Può darsi che sia vera e può darsi che sia falsa, e non è possibile dimostrare che è vera o falsa. Credere nel progresso è un atto di fede.»

Credere nel progresso o credere nella divina Provvidenza sono entrambi atti di fede, di per sé indimostrabili: la fede non si dimostra, la si vive con la totalità del proprio essere.

Da parte nostra, non riusciamo a vedere in che cosa la religione del progresso possa vantare una intrinseca superiorità sulle antiche fedi: osservando il presente, non ci sembra che essa abbia portato una maggiore armonia dell’uomo con se stesso, né con i suoi simili, né con il mondo circostante...


Francesco Lamendola
Rete Per l'Ecologia Profonda 
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giovedì 23 giugno 2011

Cibus in Primis - Il rispetto dell'intelligenza naturale per il prosieguo della vita sul nostro pianeta

                                             Nell'immagine di Franco Farina: "Divento Luce"

 


"Tutto l'Universo invero non è altro che nutrimento e mangiatore" (Brhat Aryanakha Upanishad)
 
"Dal cibo le creature nascono, per mezzo del cibo una volta generate si mantengono in vita, nel cibo morendo ritornano" (Taittiriya Upanishad)  
 

Dal DNA il cervello. Dal cervello la coscienza.. Il rispetto dell'intelligenza naturale per il prosieguo della vita sul nostro pianeta.

Mi rivolgo fondamentalmente all’intelligenza umana prodotta dalla stessa genetica che ha dato e dà vita alla biodiversità sul nostro Pianeta: un unico linguaggio che comunica ininterrottamente, senza limiti di tempo e di spazio, un linguaggio energetico che non commette errori, dove ogni informazione, informando, trasforma e crea sempre e comunque evoluzione dei sistemi fisici e biologici.

Una spiegazione, in questo contesto, è necessaria per comprendere che tutte le informazioni sono di fatto energia, dove energia, materia e informazione sono sempre e comunque energia. L’atomo, la molecola, la cellula, le proteine, le vitamine, gli ormoni, i ferormoni scambiano continuamente energia comunicando tra loro in base all’utilizzazione di forze elettromagnetiche, per cui esiste un principio di equivalenza tra energia, materia e informazione che definiamo E=M=I; e questo è il postulato che ha dato vita alla Neuropsicofisiologia, che adotta il principio fisico di causa – effetto.

Per converso, vediamo che l’evoluzione culturale dell’umanità ha prodotto un linguaggio astratto convenzionale, simbolico, matematico, con il quale tenta di identificare e classificare la Logica della Natura, l’ambiente e le nostre stesse esperienze e questa è la logica razionale con cui sviluppiamo i vari modelli culturali, scientifici, politici, economici, religiosi.
Ma in che rapporto sta questa razionalità con quella che viene definita Intelligenza Genetica (obiettiva ed oggettiva) che è la Logica con cui la Natura ha prodotto sia la biodiversità che le memorie genetiche (Filogenesi ed Ontogenesi)?

Dai nostri Studi Neuropsicofisiologici sulle Funzioni Superiori del Cervello Umano abbiamo potuto accertare, sulla base degli stessi studi di Roger Sperry, che ha avuto il Nobel per la medicina nel 1981, che esistono due forme di intelligenza all’interno del cervello umano, in perenne conflitto tra di loro, l’intelligenza dell’emisfero destro, regolato da una percezione fisica obiettiva ed oggettiva della realtà, e quella dell’emisfero sinistro che accumula nozioni, regole e modelli, simboli, codici linguistici astratti con i quali razionalizza le esperienze producendo una pseudo-evoluzione delle conoscenze, spesso in conflitto e in contrasto con l’obiettività e l’oggettività dell’Intelligenza Naturale Genetica prodotta dall’emisfero destro.

A questo punto, possiamo definire la razionalità sviluppata dall’emisfero sinistro un’intelligenza artificiale e astratta che minaccia costantemente, con le sue azioni e informazioni, i perfetti equilibri della Logica della Natura e dell’intero ecosistema.

Le manipolazioni chimico-fisiche e genetiche, prodotte dall’intelligenza artificiale, determinano continue tempeste e confusione negli scambi informazionali evolutivi della Natura, creando un continuo stress energetico nel tentativo, da parte della Natura stessa, di recuperare i propri equilibri energetici regolati dalla Filogenesi a dall’Ontogenesi che, da migliaia di anni, operano costantemente per realizzare evolutivamente i loro specifici Progetti Genetici.

A dimostrazione di ciò, possiamo porre la stessa domanda sia all’intelligenza genetica dell’emisfero destro che all’intelligenza artificiale prodotta dall’emisfero sinistro: “Perché distinguiamo un prodotto “biologico” dal non biologico? Non è un paradosso?”

Qual è la risposta? Che abbiamo alterato talmente tanto la Natura avvelenandola, inquinandola, costringendola a fornirci i suoi prodotti adulterati che sono causa di gravi patologie organiche e di infinite forme di allergie e intolleranze alimentari, rendendoci la qualità della vita un vero e proprio schifo; e che, allo stesso tempo, si continuano a pubblicizzare vari cibi “raffinati” e bevande che sono dei veri “specchietti per le allodole”, su cui le persone, attratte da tali esche, si lanciano, ed anche se poi subiscono cefalee e malattie varie, tutto è risolvibile, apparentemente, con tante belle pillole create ad hoc per eliminare gli effetti collaterali di ciò che si nasconde dietro tanta “pseudo-bontà” e “bellezza”. E, nel frattempo, aumentano i malati di cancro, le malattie cardiovascolari, degenerative, auto-immuni e chi più ne ha più ne metta.

Vari studiosi, e soprattutto l’Ecologia Clinica, hanno classificato le reazioni avverse agli alimenti in allergie alimentari, pseudo-allergie, ipersensibilità, reazioni tossiche, intolleranze alimentari, le quali hanno creato serie difficoltà al sistema immunitario nell’identificare il self dal non-self; e per semplificare citiamo alcuni sintomi associati alle intolleranze alimentari: cefalee ricorrenti, scarsa concentrazione, equilibrio alterato, depressione, iperattività, umore variabile, astenia ricorrente, torpore mentale.E ciò riguarda solo il sistema nervoso centrale.

A livello genito-urinario abbiamo irritazioni vaginali, cistiti ricorrenti, enuresi; a livello respiratorio, congestioni nasali, riniti, sinusiti, catarro, asma,  bronchiti ricorrenti, otiti; per quanto riguarda la pelle, eczemi, eruzioni, orticarie, pallore facciale, psoriasi, acne; a livello dei muscoli scheletrici, abbiamo dolenzie articolari ricorrenti, artriti giovanili, crampi muscolari e mialgie; a livello gastrointestinale, nausea, aerofagia, meteorismo, diarrea, gastralgia, sindrome del colon irritabile e morbo di Chron; a livello generale, linfo-adenopatia tonsillare, obesità, anoressia, fatica cronica, attacchi di panico.

Tutti questi sintomi sono stati verificati dall’Ecologia Clinica in presenza di sostanze alimentari la cui eliminazione corrispondeva alla guarigione, in base al famoso principio di causa – effetto.

Se per un attimo ci soffermiamo a pensare a quanti tipi di veleni o di farmaci (considerando gli effetti collaterali di ogni singola sostanza chimica cosiddetta farmacologia) sono stati prodotti per tali sintomi, possiamo scoprire quale tragedia l’umanità, ignara, sta in questo momento vivendo: una reazione a catena di sintomi e fenomeni che porta verso l’autodistruzione.
Proviamo a dare una risposta alla domanda perché distinguiamo un prodotto “biologico” dal non biologico.

Il prodotto cosi detto non biologico, carico di veleni, di sostanze tossiche, eccetera, apparentemente è simile al biologico, ma all’interno dell’organismo porta il suo carico adulterato ed ecco perché gradualmente si acquisisce intolleranza al pomodoro, al grano, al lievito, al latte, alle uova, allo zucchero, addebitando la responsabilità alla Natura mentre, per certo, sappiamo che la responsabilità è solo e soltanto dell’uomo che usa pesticidi, insetticidi, erbicidi, fertilizzanti artificiali, eccetera.

L’intelligenza genetica dell’uomo non avrà difficoltà ad acquisire chiarezza di quanto affermato, mentre quella artificiale è pronta ad inventarsi diecimila giustificativi per negare la responsabilità dell’uomo stesso o della “scienza” che usa, con l’unico scopo di incrementare il profitto, l’esaltazione individuale e fantasie pseudo-scientifiche che, sul piano logico-formale, sono delle belle favole per chi ha fatto dell’intelligenza artificiale il proprio stile di vita.

Basta con le “belle favole tecnico-scientifiche”, con una “scienza” che utilizza la validazione statistica sulla quale è possibile addomesticare i risultati a proprio uso e consumo. Riappropriamoci di una scienza che ubbidisce al principio di causa – effetto, dove le statistiche non possono nulla, poiché i fatti dimostrano molto più di qualsiasi bel discorso.

Ecco perché si parla tanto, oggi, del ritorno al biologico, ovvero del ritorno al Dinamismo della Natura, della Sua Intelligenza e della biodiversità prodotta da Tale Intelligenza, dove non esiste pianta o insetto o microbo che non svolga il proprio lavoro per armonizzare e far evolvere l’intero sistema ecologico.

E‘ possibile recuperare la biodiversità con la sua Filogenesi?
E’ reversibile il processo o è troppo tardi?
Quanti insetti o piante vengono uccisi da erbicidi, insetticidi, disseccanti, si sta correndo ai ripari cercando di proteggere le api, ormai distrutte da tali veleni, poiché senza di loro l’impollinazione diventa assai difficile, per non parlare di tanti e tanti altri organismi biologici che collaborano per il successo di ogni elemento che costituisce la biodiversità.

Fermiamoci, finché siamo in tempo, e dedichiamo tutti i nostri sforzi, tutta la nostra scienza e tecnologia, nonché le risorse economiche per il recupero della biodiversità che prevede solo ed esclusivamente prodotti biologici, ovvero prodotti secondo le Leggi di Natura, che non sono leggi astratte ma che riconoscono il sacrosanto diritto alla vita, al benessere, all’armonia di ogni singolo organismo del mondo vegetale, animale e umano.

E, in questo contesto, acquista un grande valore l’affermazione del Convegno “Cibus in primis” poiché, come abbiamo potuto constatare, la qualità dei cibi favorisce la salute, il benessere e la qualità della vita.

Decondizionare i cervelli, facendo sì che la Logica Genetica e l’Intelligenza dell’emisfero destro possano integrare e trasformare obiettivamente ed oggettivamente la logica dell’emisfero sinistro, è la Via Maestra percorribile per rendere giustizia ai grandi sforzi compiuti dalla Natura e consentire una speranza etica di vita alle nuove generazioni, visto che è la Logica della Natura che produce saggezza e, allo stesso tempo, è solo la saggezza che rispetta le Leggi di Natura.

Il diritto alla vita è un diritto inalienabile, sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. E’ compito degli Stati tutelarlo e garantirlo in ogni sua forma e sostanza.

Forma e sostanza si integrano in quel Valore che è la Dignità della Memoria Genetica di ogni organismo esistente sul nostro Pianeta.

Il riconoscimento e il rispetto di Tale Valore è un imperativo per qualsiasi forma di intelligenza; negarlo non è più possibile senza incorrere in tutte le sanzioni previste dal Diritto Naturale.

Michele Trimarchi


Scienziato. Fondatore della Neuropsicofisiologia. Psicologo e formatore. Presidente ISN.  Candidato Premio Nobel per la Pace 1986 e Premio UNESCO per l’Educazione ai Diritti Umani 2000

(Relazione presentata al Convegno CIBUS IN PRIMIS - Todi, 9 giugno 2011, h. 8.45 – 18.00 Istituto Tecnico Agrario “A. Ciuffelli”)

mercoledì 22 giugno 2011

Spilamberto, 6 luglio 2011 – Celebrazione di Santa Maria Goretti e Festa dell'anima gemella

 Festa dell’Anima Gemella, o dell’incontro fra l’uomo e la donna nella natura..


"La coppia ideale: Shiva e Parvati"

Uno degli argomenti portanti della prima edizione della Festa dell’Anima Gemella, organizzata dal Circolo Vegetariano VV.TT., toccava il tema del “zitellaggio obbligato” a cui erano spesso costrette le ultime nate che dovevano accudire i genitori e gli eventuali figli maschi non sposati. Ecco ad esempio cosa diceva, parlando della nostra Festa, Nadia Tarantini nel suo articolo sull’Unità del 3 luglio 1993, proprio toccando questo tema: “..Come un gioco di dadi deciso quando si era troppo piccoli per reagire, ogni famiglia e ogni padre o madre possessiva aveva la ‘sua’ zitella, la figlia destinata ad accudire i vecchi genitori, programmata con il consenso della pubblica opinione, innaffiata come una pianta rara con i peggiori luoghi comuni sull’infelicità del matrimonio e della prole…”

Questo obbligo al zitellaggio è un vero atto di violenza, come lo è la violenza fisica magari per poi obbligare il partner al matrimonio riparatore. Per dimostrare che l’amore non può e non deve essere violenza prendiamo lo spunto della commemorazione della Santa di origine marchigiana, Maria Goretti, la quale fu uccisa pur di non cedere alla lusinga di un amore venale. In questo momento storico in cui la violenza verso la donna sta raggiungendo un picco di virulenza è importante ristabilire il valore ed il significato dell’amore romantico, basato sulla capacità di produrre fra il maschile ed il femminile dei valori condivisi, come semplicità e bellezza, creatività e simpatia, solidarietà e innocenza. Per questo abbiamo pensato ad una festa che unisse questi ideali senza però rinunciare al rispetto di sé e delle proprie qualità. Infatti spesso si tende ad abbassare il livello della propria dignità solo in funzione di un ottenimento sociale e di un appagamento materiale.

Anche quest’anno perciò organizziamo la Festa dell’Anima Gemella. Potremmo anche definirla la Festa dell’incontro fra l’uomo e l’ambiente, fra il femminile ed il maschile. Un progetto semplice per vivere valori umani ricreando un tessuto sociale. L’iniziativa per contrastare ed allontanare lo spettro dell’indifferenza viene presa da alcune donne ed uomini che si riconoscono nell’Umano. Madri e padri, ragazze e giovanotti, sagge donne ed uomini di mezz’età. L’idea è quella del “incontrarsi” nella natura per scambiarsi doni di propria creazione: disegni e sculturine, cestini con frutta selvatica, sassi tondi e colorati, vino e panini con formaggio, poesie d’amore e solidarietà spicciola. Tutto questo ed altro ancora potremo offrire e ricevere durante la manifestazione in cui non mancheranno momenti giocosi. Insomma, andiamo alla ricerca dell’anima gemella….
Ma l’aprirsi all’altro è solo il riflesso di quello che accettiamo in noi stessi.

Questo rito si svolge a Spilamberto in una calda serata feriale, il 6 luglio 2011.

Sarà un “rispecchiarsi in movimento” per trovare sinergie e humus per una vivibilità sociale ed ecologica, durante un picnic serale al Fiume Panaro che termina con una meditazione collettiva. Un momento per riflettere sull’esposizione che noi facciamo di noi stessi. Corrisponde veramente alla verità interna, possiamo veramente ritenerci pronti di incontrare l’anima gemella, che a questo punto corrisponde esattamente al proprio Sé? In questo interrogarsi ci sono gli elementi della spiritualità laica e dell’ecologia profonda.

Paolo D'Arpini

……….

Programma:

Mercoldì 6 luglio 2011 – Spilamberto (Modena)
h. 18.30 – Appuntamento alle chiuse del fiume Panaro. Discesa al greto sulla spiaggetta degli innamorati. Semplicità di approccio, per ritrovare noi stessi nell’altro. Per capire che l’amore non può mai essere violenza.
h. 19.00 – Giro di condivisione archetipale e delle congiunzioni elementali di ognuno dei partecipanti e condivisione del cibo vegetariano da ognuno portato
h. 20.00 – Meditazione davanti al fuoco.

La manifestazione é gratuita, la prenotazione necessaria.
Informazioni e prenotazioni: circolovegetariano@gmail.com
Tel. 333.6023090

martedì 21 giugno 2011

Antonio D’Acunto: "Verso un nuovo internazionalismo ecologista"

Ecologia e Biodiversità - Nord e Sud - La nuova visione bioregionale planetaria


Ante scriptum

Ho conosciuto e collaborato in passato con l'associazione Verdi Ambiente e Società, fondata nel 1991, forse fra le prime in Italia ad occuparsi di aree omogenee di ecosistemi e perciò di "bioregionalismo". Ricordo vari incontri organizzati in collaborazione con Stefano Zuppello e Guido Pollice per parlare dei primi rudimenti dell'ecologia profonda, di riciclaggio rifiuti, di alimentazione naturale, etc.... Ci si riuniva quasi informalmente e non c'erano differenze sostanziali nel percorso, pur che Pollice e Zuppello già rivestivano un ruolo istituzionale politico ed amministrativo.. e nemmeno una frattura ideologica fra noi vegetariani del Circolo VV.TT. e la VAS, comprendendo anche la Lega per l'Ambiente, WWF, Italia Nostra, ed altre associazioni  consimili. Infatti gli appuntamenti erano congiunti ed i temi condivisi... Poi nel 1996 si fondò la Rete Bioregionale Italiana ed anche le altre associazioni presero a individualizzarsi sempre più.. sino a raggiungere la condizione attuale dell' "ognuno per sè e Dio per tutti!". In parte questa politica separativa fu favorita dal tentativo di accaparrarsi le prebende pubbliche concesse alle associazioni ed alcune di queste divennero specialiste in questa "pratica" dimenticando così la matrice comune e il comune fine...  La Rete Bioregionale Italiana non è mai entrata in questo meccanismo "clientelare"  ed  anche Verdi Ambiente e Società si è mantenuta integra e pulita. Con piacere quindi propongo un articolo della Rete Civica Napoli, scritto dal presidente onorario del VAS Campania.
 
Paolo D'Arpini

.......

Verso un nuovo internazionalismo ecologista
Questo editoriale è dedicato ed è a me ispirato dalla nascita di una Meravigliosa Creatura, la mia nipotina dal nome, per me dolcissimo, di Ileana, come la mia, infinitamente amata, moglie.

Ora io già lo so: la vedo in mezzo ad una infinita moltitudine di fiori che chiede perché sono così belli e profumati ed hanno tanti colori: ed accoglie con gioia la Verità di chi Le dice che la Natura li ha fatti così per Lei, per fare bello tutto ciò che La circonda.

Un anno fa Lei non esisteva come Creatura, ma tutto il suo essere materiale di oggi invece lo era: stava probabilmente come gocce d’acqua nelle nubi che in variegate forme contornano passaggi di luce del Sole in fantastici momenti dell’Orizzonte, nell’impetuoso correre di ruscelli verso più grandi congiunzioni, nello sgorgare di purissime sorgenti, nelle spighe di grano che rendono dorati i campi, nella moltitudine dei colori del mutevole autunno: il Suo Essere materiale stava tutto nelle Natura, che generosa Le ha consentito di divenire la Meravigliosa Creatura di oggi; molta parte che allora faceva compagnia alle diversità del Suo Essere, se fortunate come quelle che hanno costituito il Suo essere, sono divenute Vita, quella di bellissimi Bimbi come Lei, di Uccelli che esplorano mai paghi l’infinità del Cielo, di Gigli di sabbia di spiagge dal profumo che incanta.
Questa è la Regola della Natura, la infinita grandezza della Sua Identità, l’Essere della Sua Biodiversità.

Ma questo editoriale è ispirato, dico subito in senso opposto, di profonda preoccupazione, anche dal messaggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di auguri di fine anno, che per la circostanza assume carattere generale, di valori ed idealità. Naturalmente sono totalmente condivisibili tantissime parti del discorso del Presidente: dalla priorità che Egli dà ai giovani ed al loro futuro alla questione del Lavoro, dalle tasse (meno condivisibile è la parte sul debito pubblico) al superamento del divario Nord – Sud. La preoccupazione profonda, rispetto al suo discorso, nasce dalla totale assenza di ogni riferimento alla crescente gravità della condizione generale della Terra, alla insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo del tutto alieno ai Vincoli ed alle Regole della Ecologia, alla perdita gravissima ed irreversibile della Biodiversità, ed alla totale mancanza di iniziative vere, nazionali ed internazionali, che vadano nella direzione di una reale inversione della possibile catastrofe planetaria.

Il Presidente Napolitano è persona di grandissima dignità politica, culturale, di profonda onestà intellettuale; l’assenza, nel Suo messaggio di auguri, di un forte, centrale, richiamo alla questione Ecologica, nella sua complessiva accezione, assume proprio per questo una enorme valenza negativa, nel senso che anche nella migliore cultura politica dell’area democratica non vi è piena consapevolezza della entità di tale questione per ogni scelta, produttiva, economica, sociale, culturale del Paese e del Mondo. Resta, cioè, anche in questa area, al fondo la idea totalmente sbagliata di un Pianeta dalle illimitate risorse e dalla capacità infinita di smaltire i “Rifiuti”, anche in tal caso nell’accezione complessiva del termine, dal calore alla materia.

Credo invero che occorre prendere atto e di conseguenza coscienza che la Politica Potente, gli Stati Potenti, i Potenti dell’ONU, i Potenti della Finanza e della Economia, non riescono o meglio non intendono assolutamente dare risposta neanche parziale alla gravità della condizione del Pianeta ed alle cause, ben note, che la determinano; si enfatizza addirittura come un risultato positivo, un importante passo in avanti, le conclusioni del vertice di Cancùn: si racconta a Napoli, ma forse in molti altri paesi, la storia di “Nicola”, mangione oltre ogni limite e fortemente ammalato che va dal medico e riceve un ordine categorico sulla dieta, fino al digiuno; il medico gli consiglia di scriverla per non dimenticarsi.

Appena arrivato a casa, Nicola in cucina appende un gran cartello con la scritta. “Domani digiuno Nicola”. A partire dal giorno successivo Nicola guarda il cartello e dice: Oh! da domani devo iniziare a fare digiuno e così non inizia mai! Cancùn è stato proprio questo: ancora una volta un gran chiacchierare e rinvio per le decisioni alla prossima grande scampagnata “delle otto o novemila persone, ministri, sottosegretari, lobbysti, ambientalisti, scienziati, contadini, eccetera”, come brillantemente li dipinge il professore Giorgio Nebbia: l’anno prossimo gli allegri festaioli si incontreranno per il solo clima in Sudafrica, ma poi saranno permanentemente in festini: una volta per le foreste, un’altra per le zone umide, un’altra ancora per la desertificazione, e poi per la perdita della Biodiversità ed insomma non v’è termine o questione purtroppo drammaticamente seria, per non organizzare un bell’appuntamento.
 
Quanto costano tali appuntamenti per la Comunità internazionale e ...per le risorse del Pianeta, per ottenere risultati nulli, nessuno lo saprà mai. Ed intanto sempre da Cancùn apprendiamo che “il tasso con cui le specie stanno scomparendo sul Pianeta Terra è terrificante. Secondo l’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) esso è compreso tra 1000 e 10000 volte oltre il tasso naturale. Ciò è dovuto in gran parte all’attività umana”: ridicola per i risultati ottenuti è l’ultima affermazione “Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2010 Anno Internazionale della Biodiversità per aumentare la consapevolezza del ruolo fondamentale che la Biodiversità svolge nel sostenere la vita”.

Possiamo rassegnarci a questa verità: la risposta è naturalmente NO!.

E conseguentemente occorre pensare, organizzarsi, attivarsi per cambiare profondamente la realtà politica, economica, sociale del Mondo nel rapporto tra i diversi Paesi e dentro a ciascun Paese, rivoluzionando il modello di sviluppo, fondato sul consumismo e sullo spreco, lo stile di vita, rimuovendo la profondamente iniqua distribuzione delle risorse e le conseguenti immani ingiustizie, ribaltando soprattutto il primato della economia, oggi dominante, rispetto al potere della ecologia, oggi assente. Sono cose che in tantissimi diciamo da lungo tempo e per le quali moltissimi sono stati i contributi teorici, l’ho fatto anche io nel mio piccolo (si veda il sito http://www.terraacquaariafuoco.it/), e rilevanti e fortemente crescenti sono le concrete azioni.

Naturalmente infinita è ancora la necessità della ricerca, della elaborazione e della proposta; questo contributo non è però mirato a ciò, ma ad una questione che è a mio parere il nodo della estrema debolezza dell’azione ecologista anche mondiale e cioè perché ancora manca, e conseguentemente come lavorare per costruirlo, un “nuovo internazionalismo ecologista” capace sia di far esplodere fino in fondo la inutilità, la falsità e la strumentalità delle iniziative (quelle che prima ho chiamato festini) che sistematicamente si fanno a partire da quelle dell’ONU sia di imporre nuovi e diversi percorsi di confronti e di lotte e quindi almeno di direzione di scelte alternative rispetto a quelle che vengono imposte dal potere soprattutto politico ed economico dominante.

Per la proposizione stessa di un nuovo internazionalismo ecologista non possiamo non partire dalla esistenza, dall’azione, dal ruolo e dal peso delle grandi associazioni ambientaliste e più complessivamente delle “lobbies ecologiste”, cosiddette non governative, nazionali ed internazionali: pur nella fortissima sottolineatura di tante azioni esaltanti ed emblematiche, dobbiamo constatare la loro, anche qui, dobbiamo dire, fortissima inadeguatezza ad incidere sul cambiamento.
 
Parlano i risultati: il ruolo svolto da questo mondo ecologista è complessivamente fortemente subalterno; per il “ricatto” ad avere il diritto-possibiltà di esserci nei vari appuntamenti e confronti internazionali ed anche, spesso, per la dipendenza economica, esse diventano funzionali al sistema dominante ed al meccanismo mondiale oggi in atto di confronto e decisione sulle scelte, ovvero sulla immutabilità dell’attuale realtà; in parole più esplicite, spesso nella Politica dei Potenti, nei Poteri Forti che rendono subalterna l’Ecologia, oggi sono da considerare anche le Associazioni Potenti dell’Ecologia o loro significativi momenti.

In assenza di chiare e forti scelte di cambiamento dei Paesi, potenti e sfruttatori di risorse anche di altri Paesi, a partire dagli USA, un effetto di gran lunga più dirompente sull’opinione pubblica mondiale ed una possibile conseguente incidenza reale sarebbe, rispetto ad una sterile, insignificante partecipazione, il boicottaggio di tutte le iniziative istituzionali (nel senso, ad esempio, di iniziativa delle Nazioni Unite), nazionali ed internazionali, come quelle sul Clima e sulla Biodiversità, con boicottaggio “comunicato” capillarmente ai Cittadini in ogni Paese. Ovviamente il boicottaggio e la comunicazione e l’incidenza sulla opinione pubblica si attuano stando separati ed in opposizione ai lavori (si fa per dire) dei Vertici degli incontri, e perciò anche con contestazioni (soprattutto nello stile di Gandhi) nei luoghi dei vertici. Altrimenti - vogliamo dire la verità? - quante sono le persone che sapevano dell’incontro di Cancùn e di tutti quelli che l’hanno preceduto anche con titolazione diversa? Un numero infinitesimo, marginale, sicuramente anche inferiore agli iscritti in qualsiasi maniera alle associazioni Ambientaliste.

Questa dovrebbe essere la linea delle Associazioni per i prossimi incontri: un coordinamento internazionale su tale linea, già sarebbe un segno, un germe di un nuovo internazionalismo ecologico; ma lo faranno? Chi ha tanti vantaggi, dall’essere permanente turista all’acquisire benefici economici, è disponibile a rinunciarvi? Per molti, non certamente per tutti, la risposta è probabilmente no! ed il no sarà motivato da tante retoriche frasi sul meglio comunque esserci.

Naturalmente la critica ai Potentati dell’Ambientalismo non significa non operare perché tutto questo mondo, che soprattutto in tanta parte della base dei suoi aderenti crede fortemente nella centralità della scelta ecologica, sia chiamato e sia quanto più possibile coinvolto in una collettiva azione di costruzione di un nuovo percorso sia teorico di crescita del Pensiero della Filosofia della Natura, direi - sapendo la infinità di critiche che mi possono essere fatte - una Rinascita di quella che viene generalmente chiamata Filosofia Presocratica, sia organizzativo dell’ecologismo attivo, militante, costruttore di adesioni e partecipazione.
Sul primo punto della Teoria è evidente la distanza siderale che oggi c’è tra Ricerca, Sviluppo Tecnologico e sua applicazione e la Visione Unitaria della Natura, la Coscienza dell’Appartenenza ad Essa: colmare questa distanza nel modo di Pensare Collettivo significa pensare a ricerca, sviluppo, tecnologia nella funzione positiva dello stare dentro all’Essere della Natura, appunto la sua Identità, le sue Regole, le sue Leggi.

Sul piano della costruzione di un nuovo internazionalismo ecologista molti potrebbero rispondere che già c’è (è già stato) ed è il Popolo di Seattle e poi il movimento No Global. Naturalmente molta verità è in questa affermazione, ma sia lo stato attuale del movimento, sia i risultati globali ottenuti, sia soprattutto la capacità aggregativa globale richiamano o meglio pongono, a mio parere, come questione centrale, una riflessione generale su come riorganizzare od anche ricostruire un nuova identità ed un nuovo movimento: le idee, i valori, le istanze che fecero vivere prima, nel 1999, la stagione di Seattle, “Un altro Mondo è Possibile” e poi, nel 2001, quella di Porto Alegre, «Un altro mondo è in costruzione» costituiscono ineludibili, fondamentali riferimenti: i quattro grandi argomenti, e le risposte che ad essi si danno, del Forum Sociale di Porto Alegre - produzione di ricchezza e ripartizione sociale; accesso alla ricchezza e sostenibilità; affermazione della società civile e degli spazi pubblici; potere politico e etica nella nuova società- mantengono integri la immensa forza per il cambiamento.

Ma come prima fatto per le Associazioni Ambientaliste, per capire la realtà e le difficoltà di oggi, mi sembra necessario ragionare su alcuni elementi di fondo delle esperienze No Global: a mio parere nel movimento è mancata soprattutto la consapevolezza della necessità di un coinvolgimento nel pensare e nell’agire delle grandi masse, della moltitudine dei cittadini, isolandosi spesso in posizioni elitarie, a volte gruppettarie, favorendo la immagine di posizioni minoritarie, astratte, lontane dagli interessi reali della gente, spesso in un disinteresse di chi governa le istituzioni, senza porsi invece la questione del cambiamento delle stesse, della loro appropriazione in tale direzione, del divenire maggioranza.

Sul piano teorico credo che vada fortemente evidenziata la debolezza della critica alla Economia che pur vista nell’ottica rivoluzionaria di benessere distribuito e giustizia, sociale e tra i popoli, resta egemone rispetto all’Ecologia, alle risorse ed alla insostenibilità del modello di sviluppo attuale; sicuramente di grande rilevanza è stata ed è la battaglia per la cancellazione del debito dei Paesi poveri, ma quasi insignificante è stata ad esempio quella per la sostituzione dei PIL con nuovi indicatori del benessere dei Paesi, per cui personaggi come Tremonti, “ragionieri” funzionali negli Stati esclusivamente ai grandi interessi bancari nazionali e mondiali, continuano ad apparire, alla opinione pubblica, giganti della Economia, salvatori dei Paesi con la conseguenza che nulla si cambia sulle regole e la qualità dello sviluppo e del lavoro e della valorizzazione delle risorse vere e la crisi, strutturale, del sistema rafforza il sistema stesso, ed indebolisce la prospettiva del cambiamento e delle forze che lo sostengono. Le grandi iniziative del movimento, come Genova 2000, si sono difatti attestate fondamentalmente sui vertici dei Grandi (piccoli-piccoli rispetto ai bisogni veri della Umanità e della Terra) sulla Economia, mentre debole è stata l’attenzione verso tutto quanto attivato, anche in grandi iniziative dell’ONU, fuori da questi vertici.

Naturalmente estremamente complessa è la riflessione su come costruire un nuovo internazionalismo ecologista sia nell’analisi dei limiti delle esperienze del post Seattle, delle Associazioni Ambientaliste e di altri riferimenti, cui in maniera sicuramente molto parziale ho fatto prima riferimento, sia nel pensare a percorsi, forme, riferimenti fortemente innovativi rispetto alle esperienze passate. Ma, a mio parere, è oggi il passaggio fondamentale per dare forza ad un percorso nuovo capace di contrastare ed invertire realmente ed efficacemente la Politica dei Potenti.

Antonio D’Acunto - Presidente onorario VAS Campania
Rete Civica Napoli
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Precedente intervento tecnico bioregionale:
http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/09/intervento-tecnico-sulla-proposta-di-riassetto-bioregionale-del-lazio-applicando-le-leggi-145-e-142-del-1990/

lunedì 20 giugno 2011

Philippe Lemoussu.. ed il messaggio di un albero



Questa primavera mentre arrancavo ancora nella morsa dell’inverno un albero mi disse: guardami meglio e capirai !

Ecco ciò che ho visto e quanto ho capito.

Quando guardiamo un albero viene spontaneo percepire il suo slancio verso l’alto. Questo movimento che avviene molto lentamente, anno dopo anno, i nostri occhi lo leggono nelle tante ramificazioni che si allargano progressivamente nell’aria. 

Questa lettura tuttavia ci porta ad un inganno perché a questo slancio associamo anche un flusso di materia (acqua, minerali,…) che l’albero porta su dalle radici sino alle foglie tramite la linfa. In un certo modo il nostro occhio ci porta a pensare che tutta la sua costruzione legnosa sia il frutto di un attività estrattiva che trasferisce lentamente materiali piccolissimi provenienti dalla terra per trasformarli tramite la famigerata fotosintesi clorofilliana in mattoncini di legno. L’albero quindi viene visto come un “frutto” della terra.

In effetti le cose non sono cosi perché oltre il 95% della massa dell’albero proviene dall’atmosfera e meno del 5 % proviene dalla terra.

Se aggiungiamo che tutta l’energia usata per assicurare la crescita di questa massa vegetale proviene soltanto dal nostro caro sole allora possiamo tranquillamente affermare che quando guardiamo un albero stiamo vedendo il frutto del cielo e del sole. Possiamo cosi riprendere l’espressione biblica dicendo che contrariamente alle apparenze l’albero nasce dall’alto.  Se prolunghiamo questo rovesciamento dello sguardo con le conoscenze relative al BRF, allora scopriamo che, a dirittura, è la terra fertile stessa ad essere il frutto dell’albero.

Il processo naturale di produzione di humus nasce proprio dalla grande disponibilità di rametti e di foglie sul suolo. Senza il loro rilascio da parte dell’albero, non potrebbero innescarsi nel suolo quelle bombe vitali che riescono ad aggradare un mondo minerale morto in un ambiente in grado di generare infinite forme di vita. Quindi a questo punto, non solo l’albero ma anche la terra fertile nasce dall’alto.

Se avete voglia di seguirmi ancora, ecco altre cose che ho visto e spero capito. I lettori esperti di botanica mi scuseranno per l’uso di termini forse troppo generici per il loro gusto.

Abbiamo tutti notato la grande differenza di comportamento tra 2 grandi gruppi di alberi, le conifere e le latifoglie. Nella storia del nostro pianeta i primi sono i più antichi ed erano i padroni della terra ora sono stati ampiamente superati dai secondi.

Con poche eccezioni i primi tengono le loro foglie (gli aghi) tutto l’anno. Ciò li rende sempre uguali a loro stessi con poche variazioni nell’arco dell’anno. Quasi tutti i secondi invece (almeno alle nostre latitudini) si spogliano al punto di sembrare morti nel periodo invernale. Tra i primi troveremo gli alberi più alti, più grossi e più vecchi del pianeta potremo quasi dire i più forti.

Eppure è tra i secondi che la vita si diverte di più in una gamma infinita di variazioni. Questo loro ciclo vitale cosi sensibile alla disponibilità della luce integra perfettamente il momento in cui la luce viene a mancare cosi come il momento in cui ritorna.

Hanno imparato ad adattarsi al ridursi della fonte energetica. Potremmo forse dire che si adattano per limitare il dolore e salvare la propria vita. Proprio questa capacità che pianifica l’abbandono del proprio fogliame diventa una fonte di vita per tanti altri esseri viventi.

Tutto questo materiale che cade in autunno avvia una vasta catena alimentare che consente l’aggradamento del suolo e la produzione di terra fertile. Quando la luce ritorna, le latifoglie rendono subito disponibili le riserve accumulate nelle ramaglie cioè nei pressi delle gemme, dei fiori,…

In milioni di anni hanno imparato proprio bene a nutrire la loro vita e quella di chi le circonda,… Occorre riconoscere che intorno alle potenti conifere e al loro andamento imperturbabile la biodiversità invece non aumenta nella stessa misura, li il terreno rimane acido, la fertilità cresce poco.

A volte a noi umani, che siamo una specie cosi giovane rispetto agli alberi, viene voglia di essere come le conifere ma poi facciamo fatica ad integrare nella nostra vita quei momenti in cui l’energia per qualche motivo si riduce. Le latifoglie ci invitano ad amare questa nostra apparente fragilità che i nostri occhi associano alla morte quando invece è il motore della vita.

Philippe Lemoussu
Genova / Equa